Narcisismo digitale o informazione venuta dal basso? Le sciocchezze commesse in rete nel nome di un malinteso senso della notizia dilagano. E l’Ordine dei Giornalisti deve scendere in campo per difendere la professione dall’analfabetismo di ritorno. E magari di andata.
Soavi informazioni si sono intersecate oggi nell’aere virtuale. Sempre che informazioni possano ancora chiamarsi, visto che di questi tempi si tende a dare a ogni cosa in circolazione la dignità di notizia.
Queste però meritano, per la loro sottile correlazione, di essere ricordate.
Una giovane collega romana, Sara Stefanini, dà l’annuncio della pubblicazione di un libro (recensione, spero, a breve) intitolato “Giornalismo partecipativo o narcisismo digitale?”. “ll giornalismo partecipativo – spiega nella nota – dà voce a quei cittadini considerati da sempre passivi e avvolti dalla grande spirale neumanniana del silenzio. Il narcisismo digitale altro non è che l’altra faccia della medaglia. Chiamato anche egosurfing, è presente nell’Oxford English Dictionary già dal 1998 ed indica il presenzialismo su Internet. Ormai, l’informazione si costruisce insieme, nel piccolo grande villaggio globale, unito dalla Rete e diventato g-locale eliminando le distanze e dimezzando i tempi”.
Più o meno nello stesso momento, arriva (qui) un comunicato stampa dell’OdG della Toscana dal titolo tragicomicamente surreale: “Come un giornalista deve trattare i casi di suicidio”. Segue breve promemoria ad uso di colleghi, aspiranti e sedicenti.
Del come e del perché le due cose siano correlate, gli esempi si sprecano.
Mesi fa a Siena, per citarne uno, c’è stato il caso dell’ennesimo dilettante dell’informazione (ops! Dovevo forse dire, in modo politicamente più corretto e democratico, anzi egualitaristico, citizen journalist? O giornalista partecipativo?) che con disinvoltura ha pubblicato sul solito sito internet tutti i dettagli sul suicidio di un giovanotto. Compresi nome, cognome, indirizzo, circostanze, metodi e note biografiche. Insomma, le generalità complete, e anche oltre, del poveretto. E ha completato la perla graziosamente e pubblicamente ringraziando, in calce, il maresciallo dei Carabinieri che gli aveva fornito le informazioni.
Un vero capolavoro dell’antigiornalismo insomma, che tra grida di esecrazione ha fatto saltare sulla sedia, è ovvio, i veri giornalisti.
Veri? Veri chi? Quali? Quelli che hanno in mano il fatidico “tesserino”? Ma per favore. Magari sono gli stessi che hanno “passato” il pezzo al desk, lasciandolo tale e quale.
La realtà è che il livello medio di preparazione per l’accesso alla professione è così basso, anzi infimo, che la gente ormai diventa giornalista senza avere la più pallida idea di cosa comporti esserlo. Incluso l’abc deontologico, le quattro-informazioni-quattro senza le quali a nessuno dovrebbe essere neppure messa in mano una penna per scrivere qualcosa su un giornale. Perché è questo che alla fine dei giochi parifica di fatto, beffardamente, l’inadeguatezza del titolato e quella del non titolato: è la vecchia teoria dei todos caballeros, la fanfaluca dell’informazione “dal basso”, la pseudodemocrazia che tanto piace ai demagoghi. Tutti siamo tutto. Olè.
Ma l’ignoranza degli ignoranti è una colpa? Verrebbe da dire di no. Eppure nemmeno questo è vero. La consapevolezza della propria inesperienza, invece che tracotanza, dovrebbe casomai suggerire prudenza. Ovvero la necessità di informarsi, chiedere consigli, essere cauti. E invece i giovani colleghi (e spesso ancora nemmeno tali), cresciuti a pane e ansia da scoop, ci danno dentro. “Ho svelato il nome del morto”, pensano, questa sì che è una notizia.
Di sicuro e parallelamente, però, l’ignoranza non è neppure la più grande delle colpe. Perché ai giovani allo sbaraglio qualcuno avrà pure il dovere, la responsabilità di insegnare.
Una volta questo compito spettava agli scafati, pazienti, burberi colleghi anziani, maestri nell’uso del bastone e della carota. Ora che gli anziani non ci sono più in quanto prepensionati, oppure in quanto entrati nella professione da ignoranti e tali rimasti, il vuoto è totale. Non solo manca la conoscenza, manca la fonte della medesima.
Ed ecco che l’Ordine si trova a dover fronteggiare questo analfabetismo giornalistico di ritorno con l’iniziativa detta.
Sia chiaro: davanti a casi come quello riportato, ogni mezzo è buono per arginare la circolazione di notizie sbagliate o dannose. E quindi ha fatto bene il presidente regionale Carlo Bartoli a prendere il toro per le corna.
Ma è paradossale pensare che i professionisti dell’informazione abbiano bisogno di reminder e addirittura di filmini esplicativi (caricati, per non lasciare nulla d’intentato, sia sul sito dell’Ordine, sia sulla pagina FB del medesimo, sia addirittura su youtube) per applicare i fondamentali della loro professione.
Incerti del mestiere, si potrebbe dire.
O del narcisismo digitale? O dell’egosurfing? Boh…