Azzerati causa Covid-19 gli incontri in odor di omaggistica e buffet, è andato in crisi pure il sottobosco di pseudogiornalisti e veri-er che li animava. E con loro, l’indotto di fornitori, organizzatori, locali e committenti. E’ un bene? No. Ma…

 

Tra i tanti settori messi in crisi dal Covid-19 c’è quello del sistema giornalistico, cioè del giornalismo e, a catena, dei suoi copiosi indotti.

Il rischio del contagio e l’obbligo del distanziamento sociale hanno comportato ad esempio, tranne alcune esecrabili eccezioni legate alla cronaca (dalle comparsate di Conte al caso di Silvia Romano e strascichi) o alla stretta attualità, l’azzeramento delle tradizionali conferenze stampa “frontali”. Quelle di persona, insomma. Sostituite da teleconferenze via Zoom o altre piattaforme.

A dire la verità non tutto il male è venuto per nuocere. Grande il tempo risparmiato, ad esempio, nelle (rin)corse cittadine dei cronisti da una conferenza all’altra, fine di certi pigia-pigia e, in generale, un maggiore ordine di domande e risposte. Nonchè, bisogna ammetterlo, di occasioni per evadere le seconde.

Ma alcune subcategorie sono state davvero duramente colpite. E, con loro, tutta la filiera che su di esse si appoggiava.

Prendiamo l’immarscescibile e prolificissima classe dei tartinari, ovvero dei giornalisti, ex giornalisti, aspiranti giornalisti, pseudogiornalisti che non solo per decenni hanno affollato qualunque appuntamento ove ci fosse sentore di omaggi o di buffet, ma che proprio grazie alla loro fedeltà e a un infallibile sistema di passaparola erano giunti a rappresentare, in progressiva carenza di giornalisti-giornalisti, i migliori amici di pr e organizzatori di eventi: sempre presenti, di bocca buona e di stomaco capiente, vivaci, amichevoli, socialmente (nel senso di social media, blog, etc) munitissimi e quindi eccellenti strumenti di “riscontro”, fungevano da rifugio sicuro per chiunque temesse incontri-flop, con conseguente ira del committente.

Incontri dei quali, ormai, non c’è traccia e credo non ce ne sarà per un pezzo: un po’ per via degli assembramenti vietati, un po’ per via dei soldi finiti e un po’ per via che anche i più fedeli alla tradizione si sono accorti che a fare presentazioni per via digitale si risparmia una montagna di quattrini.

Non sono però solo i tartinari ad essere finiti in gramaglie.

Con loro langue tutta la filiera a valle: dai pr e organizzatori di eventi a ristoranti, bar, alberghi, locali, catering, produttori di paste e snack, cocktail e bicchierate.

Sia chiaro: il loro era solo onesto lavoro e non mi compiaccio affatto del tracollo economico di nessuno di quelli sopraelencati, neanche dei falsi colleghi.

Quanto accaduto è però la dimostrazione che un mondo ipertrofico come quello non poteva durare.

Mutatis mutandis mi ha ricordato di quando, all’alba della mia carriera, scoppiò tangentopoli e la diffusa omaggistica faraonica a favore dei giornalisti si contrasse da un giorno all’altro in modo drastico. Non tutti i colleghi sopravvissero a quella sciagura della liberalità pelosa. I più avvezzi ai benefici, anzi, proprio non si ripresero più.

Qualcosa mi dice che siamo daccapo. E che dall’odierna impossibilità di esserci deriva l’impossibilità di apparire.

Riflettiamoci.