Trasformare un’anteprima per addetti ai lavori in un evento enomondano, inserendosi nel filone gastroedonistico che va per la maggiore, è un’intuizione felice per avvicinare il grande pubblico alla Denominazione.
Le due facce dell’anteprima del Chianti docg, svoltasi domenica scorsa a Firenze: ovvero come trasformare un appuntamento inizialmente pensato e di norma riservato agli addetti ai lavori in un evento mondano-gastronomico per gaudenti, inserendosi con successo nel filone, di gran moda, delle serate a base di vino e assaggi gourmet.
Potrebbe essere una svolta per il consorzio del vino Chianti docg, la grande denominazione toscana (15.500 ettari di vigneto sparsi nelle provincie di Firenze, Siena, Arezzo, Pisa, Prato e Pistoia, 880mila ettolitri, 110 milioni di bottiglie prodotte all’anno) che in termini di immagine soffre un po’ la presenza di vicini con mezzi e reputazione decisamente ingombranti.
Le tessere però, almeno su quel fronte, cominciano ad andare una dopo l’altra al loro posto: bello il logo, magnifico il punto di rosso prescelto per il marketing, azzeccato lo slogan (“Chianti Lovers“). Suggestiva la sede: l’ex Manifattura Tabacchi, affascinante struttura di archeologia industriale eletta dal FAI tra i “luoghi del cuore” a due passi dal grande parco delle Cascine, saggiamente e nettamente suddivisa tra una parte per “assaggi tecnici” destinata ai giornalisti (ma qui l’organizzazione è decisamente da migliorare) e un’altra con i banchi dei produttori, aperta da una certa ora in poi anche al pubblico generico.
Ed è stato, diciamolo, un successo: qualche migliaio di persone presenti tra pomeriggio e sera, bell’atmosfera, niente eccessi e palpabile soddisfazione degli organizzatori: “L’anno scorso ci facemmo sorprendere da un numero imprevisto di presenze, quest’anno abbiamo fatto le cose in grande e i risultati si sono visti“, ha commentato il presidente Giovanni Busi.
Sul tavolo la scommessa di far “capire” ai consumatori e spesso anche ai giornalisti la complessità identitaria di una denominazione assai articolata che coinvolge sei provincie (Firenze, Siena, Arezzo, Pisa, Pistoia e Prato), sette “denominazioni aggiuntive” che possono essere giustapposte al nome “Chianti” (Colli Fiorentini, Colli Senesi, Colli Aretini, Colline Pisane, Montalbano, Rufina e Montespertoli), una tipologia a sè, il “Superiore“, con più alte caratteristiche, e le Riserve. Praticamente un puzzle. Un arcipelago di nomi e aree in cui non è sempre facile orientarsi. Il che spesso sconcerta il consumatore e perfino gli addetti ai lavori.
“Quest’anno – aggiunge Busi – erano presenti i maggiori consorzi di sottozona, cioè Rufina, Colli Fiorentini e Colli Senesi, con il preciso intento di comunicare all’esterno, in modo unitario, un’identità fatta di equilibrio, di profumi freschi e fruttati, di tannini non marcati“.
Naturalmente, aggiungiamo noi, non è tutto oro ciò che luccica. Sotto il profilo qualitativo il Chianti tradisce spesso una certa eterogeneità e molte note ancora da accordare, ma non c’è dubbio che la manifestazione fiorentina del 2016 abbia segnato un notevole punto a favore, almeno in termini di visibilità pubblica e di valorizzazione del marchio.
Per i riscontri critici e giornalistici aspettiamo l’edizione 2017, sperando di essere messi nelle condizioni adatte per assaggiare con la dovuta calma ed ampiezza il vastissimo ventaglio della produzione chiantigiana.