Sospesa tra cialtroneria pura e raffinatissime tecniche di controllo dell’elettorato, la seconda manche delle consultazioni dell’Ordine (camuffata però, con geniale intuizione, da prima) ha partorito quello che sembrava il proverbiale topolino. Ma che è servito invece a far piazza pulita dei candidati non “allineati”. Il terzo turno – ovvero il ballottaggio del 30/5, riservato di fatto ai soli “militanti” – si appresta invece a dettare le scelte che “pesano” davvero. Intanto ieri, su 1.005 professionisti, hanno votato in 294 (cioè il 29%: 207 a Firenze, 62 a Livorno e 25 a Siena) e su 3.924 pubblicisti hanno votato in 245 (cioè il 6%: 90 a Firenze, 109 a Livorno e 46 a Siena). In totale, 539 votanti su 4.929: l’11%. Calcolato che di solito al ballottaggio i presenti alle urne crollano del 40%, ciò vuol dire che alla fine i “veri elettori” saranno poco più di 200.
Tutto secondo copione insomma, tra plebisciti bulgari e “cordate” capaci di portare in alto emeriti sconosciuti o di affossare figure note e rappresentative. Per il resto, l’inutile strage di decine di onesti giornalisti un po’ illusi, un po’ raggirati, un po’ traditi e un po’ usati. Con un risultato gattopardesco che, visto il momento generale della professione, rischia di risucchiare il giornalismo in un gorgo senza ritorno mentre a bordo si continua ballare tra ripicche e dispettucci.

Siamo chiari fin dall’inizio: congratulazioni agli eletti diretti e ai colleghi andati al ballottaggio. Da parte mia nessuna animosità personale. Solo molta irritazione per un sistema apparso – ancora di più se visto per una volta dal di dentro – talmente bacato che, in una consultazione dove si votano le persone, l’unico modo per essere eletti è quello di essere “spinti” dagli schieramenti. Siano essi partiti, parrocchie, lobby o redazioni.
Un sistema, aggiungo, ancora talmente bacato che per passare al primo colpo al consiglio nazionale, avendo quindi ottenuto la maggioranza assoluta delle preferenze, sono bastati 135 voti su potenziali 1.005 per i professionisti (13%) e 145 (4%) su 3.924 per i pubblicisti. Percentuali ridicole, rappresentatività nessuna. Le cose non vanno meglio per il consiglio regionale dell’OdG: il più votato tra i professionisti ha avuto appena 84 consensi e va al ballottaggio con altri 6 giornalisti, dei quali il meno votato ha ottenuto 29 voti su potenziali 1.005; tra i pubblicisti, “passa” subito chi ha preso appena 127 voti e va al ballottaggio chi ne ha ottenuti tra 90 e 24 su 3.924.
L’altra faccia di questa sconfortante medaglia, non migliore della prima, è rappresentata dalla riprova del peso determinante che, in un panorama partecipativo così asfittico, hanno le “liste”, cioè gli schieramenti precostituiti: con l’eccezione di un consigliere al consiglio nazionale, infatti, tutti i professionisti passati al prossimo turno erano esponenti di una “cordata”. Idem dicasi per i pubblicisti.
La morale da trarre è una sola: quando da un lato il sistema avvilisce le qualità personali per condizionare le elezioni alle logiche di fazione e dall’altro obbedisce a norme che paiono (paiono?) fatte apposta per disincentivare il voto, per togliergli credibilità, attendibilità, rappresentatività consentendo al tempo stesso di condizionare in modo subdolo ma efficacissimo i pochi, coraggiosi votanti, vuol dire che siamo alla frutta.
Anzi, peggio. La follia di adottare, in realtà numericamente abbastanza piccole come quella toscana, poi, il modello di gestione adottato nel sindacato, con le sue correnti, i suoi intrighi di palazzo, le sue rese dei conti, le conquiste e le reconquiste, appare suicida. Primo, perchè estromette dal sistema tutte le risorse, le professionalità, le teste pensanti esterne alle logiche di appartenenza. Secondo, perchè rinuncia in partenza al prestigio necessario a una categoria che di prestigio e di attendibilità ha bisogno come l’aria.
Abituati a credere che la disponibilità dei singoli a partecipare alla vita dell’ordine sia dettata dal desiderio di “condividere” (il potere o l’illusione del medesimo, i vantaggi o le prebende vere o presunte, i privilegi invero miserrimi) e non semplicemente di dare qualcosa a una professione sempre più in crisi, i capibastone difendono gelosamente ciò che resta delle loro sfere di influenza e si spendono in ogni modo per mantenerle. Contenti loro.
Peccato non si accorgano che la professione gli sfugge di mano, che tra i principali sostenitori dell’abolizione dell’Ordine ci sono proprio le disilluse e a volte nauseate nuove generazioni di giornalisti, che il mondo dell’informazione non finisce tra le scrivanie piene di scartoffie delle redazioni e tra le moquette intrise di polvere dei palazzi del potere giornalistico. La circostanza che da due, tre, quattro mandati ci siano colleghi puntualmente disposti a candidarsi e poi puntualmenrte eletti significa che hanno davvero fatto benissimo e che sono animati da una passione incontenibile, oppure che il nostro ambiente è ormai cristallizzato, sclerotizzato, cronicizzato?
Lascio il giudizio ai lettori e il commento ai giornalisti.
Detto questo, sia in Fnsi che in Odg abbiamo già dato. La coscienza è a posto. Ora tanto vale che gli altri sbaglino da soli.