Quella del Colline Teramane Montepulciano d’Abruzzo docg e docg Riserva è stata anche una verticale 2021-2016 e pure una festa per il 20° della denominazione. La strada è ancora lunga, ma lo slancio non manca.

 

Ci hanno messo parecchio a organizzare la loro. E questa era la terza (per la seconda leggere qui), in un mondo che, nello stesso arco di tempo, di anteprime vinicole si è riempito fino a quasi esploderne. E’ stata anche una sorta di festa per l’anniversario, visto che la denominazione delle Colline Teramane nasceva esattamente vent’anni fa.

La ragione del ritardo l’ha spiegata con franchezza il presidente del Consorzio di Tutela, Enrico Cerulli Irelli, aprendo ai primi di marzo i lavori di degustazione dei Colline Teramane Montepulciano d’Abruzzo docg e docg Riserva nella Sala Ipogea di Teramo: “Il vino abruzzese è stato sempre individuato attraverso il nome del produttore anziché attraverso quello della zona di produzione, che era semplicemente l’Abruzzo”, ha detto. “Noi siamo nati negli anni ’90 come sottozona, quasi per sottrazione, e solo nel 2003 siamo diventati Colline Teramane docg, la prima denominazione controllata e garantita della regione. Il nostro allora non era un nome che individuava una zona di produzione precisa. E ancora oggi rappresentiamo un’entità geografica e territoriale, più che vinicola. Molto identitaria e ricca di prodotti, dalla pasta la miele. Una sorta di distretto attorno al quale puntiamo a consolidare l’immaginario del consumatore. Miriamo al posizionamento commerciale del nostro vino nella fascia più alta, visto che siamo una realtà di sole 600mila bottiglie e fatta di molte anime differenti. Al punto che quella di oggi, più che un’anteprima, è una specie di verticale in cui le aziende mostrano i loro vini alla stampa, tutte insieme ma ognuna con le propria filosofia”.

Difficile dargli torto, considerato che i campioni in assaggio andavano dal 2021 al 2016. E che la crescita più recente è stata non tumultuosa, ma significativa: +50% di bottiglie negli ultimi 24 mesi e 172 ettari di superficie vitata spalmati su 33 comuni, tutti in provincia di Teramo, tra l’Adriatico, il Gran Sasso e i Monti della Laga, per il 70% coltivati in regime di biologico, biodinamico o lotta integrata. Circa il 60% dell’imbottigliato, è stato detto, va all’esportazione e il resto al mercato nazionale.

Venendo alla degustazione, è più giusto definirla una panoramica che non un’anteprima in senso stretto, come ha appunto sottolineato in apertura il presidente Cerulli.

Col paradosso, però, che per alcuni vini in assaggio – vuoi per l’annata, vuoi per il fatto che in certi casi si trattava di campioni da botte, compreso uno del 2016! – il termine anteprima poteva invece calzare a pennello.

Il quadro che ne è uscito è molto frastagliato e non facile da mettere a fuoco, con un potenziale evidente ma talvolta indebolito da una troppo marcata diversità di stili tra cantina e cantina e un uso del legno spesso esagerato, anche nei vini che, prodotti in millesimi recentissimi, avrebbero dovuto avere il tempo per smarcarsi meglio da certi retaggi enologici del passato. Sempre che, e non si può escludere, talune scelte aziendali siano state dettate non dal gusto del produttore ma da precise richieste commerciali, comprensibilmente assecondate dai vignaioli teramani. E difficili tuttavia da metabolizzare in sede di assaggio seriale alla cieca, come quello che abbiamo fatto dei 38 vini in rassegna.

In generale, diciamo che quasi tutti i 2021 e i 2020 assaggiati si sono rivelati non ancora pronti per il consumo, anzi decisamente acerbi, come ragionando a contrario dimostra il fatto che dall’annata 2019 in giù i campioni sono invece risultati, in media, più accessibili e godibili ancorchè sempre molto ingombranti, con un Montepulciano (il disciplinare ne prevede un minimo del 90%, ma molti ormai lo impiegano in purezza) scalpitante, ruvido e difficile da gestire.

Tra i più giovani, ci sono piaciuti Il Grande Silenzio 2020 della cantina Fosso Corno di Roseto degli Abruzzi, un vino ancora da farsi ma già con una sua compostezza sia al naso che al palato, e il Verso Sera 2020 di Velenosi (Controguerra), prova da botte che rivela una ricchezza assai promettente anche per la sorprendente mancanza di eccessi.

Tra i più vecchi ci sono parsi invece un gradino sopra gli altri il Voluptas 2017 di Monti (Controguerra), molto preciso e diretto al naso e dotato di un sorso tanto elegante quanto composto, e il Colle Trà 2017 di Strappelli (Torano Nuovo), un biologico ancora lontano dalla piena maturità ma molto coerente all’olfatto e ricco, quasi opulento al palato.

La sensazione finale è che la strada verso il difficile obbiettivo di uno stile condiviso ma non omologato sia ancora lunga, ma la passione che è trasudata ogni volta che ci siamo intrattenuti a parlare con un produttore lascia ben sperare.