di WALTER PERUZZI
Per secoli area di frontiera tra Due Sicilie e Stato Pontificio, per un migliore controllo del territorio si scelse la mezzadria anzichè il latifondo. Gli effetti si vedono ancora oggi nella maglia fondiaria e nei vini, appena presentati a “La nostra anteprima”.

 

Non è un Montepulciano d’Abruzzo fatto a Teramo ma di un vino nuovo, con personalità propria. Anche i produttori devono capirlo e crederci fino in fondo, perché l’Abruzzo è troppo schiacciato su un solo vino e una sola DOC, mentre noi abbiamo una nostra DOCG che ha ben ragione di esistere”.

Chi parla è Enrico Cerulli, presidente del Consorzio Colline Teramane. Abruzzese e fiero delle proprie origini, competente e pieno di entusiasmo, apre la seconda edizione di ‘La Nostra Anteprima’. Consapevole di quanta strada questa DOCG debba ancora fare, ma deciso a percorrerla seriamente, non sottolinea le qualità straordinarie del vino, ma lascia che i partecipanti, assaggiandolo, si facciano la loro idea; ne ascolta le opinioni, prende spunti dalle osservazioni.

Questo territorio è stato per secoli zona di confine tra Regno delle Due Sicilie e Stato Pontificio. I terreni erano in mano all’alta borghesia, incaricata dal Papa della difesa militare. Era necessario che nei campi qui intorno venisse praticata un’agricoltura ben fatta, in grado di produrre buon cibo, vario ed in quantità sufficiente agli abitanti, tra cui i proprietari stessi, che risiedevano in loco per ottemperare al loro compito: il controllo delle frontiere. Il sistema della mezzadria fu la scelta naturale, perché in quel contesto funzionava di gran lunga meglio del latifondo imperante nel resto del Regno.”.

Gli effetti di tutto questo sono visibili ancor oggi nel paesaggio, più antropizzato e simile a quello umbro e marchigiano, che non al resto dell’Abruzzo, più selvaggio e incolto.
La produzione di vino di migliore qualità pare quindi affondare le radici in tempi lontani, tanto che già nel 1968, anno di nascita della DOC Montepulciano d’Abruzzo, fu richiesta e ottenuta la sottozona ‘Colline Teramane’ che nel 2003 diventerà la prima DOCG abruzzese. Con due tipologie: “Giovane” e “Riserva” (almeno tre anni di affinamento, di cui almeno uno in botte) .

In degustazione erano presenti ventuno etichette della prima tipologia e diciassette della seconda, distribuite tra le annate 2011 e 2020. A seguire è stata proposta una verticale della Riserva dal 2003 al 2015.

Bisogna dire subito che, assaggiando questi vini con il disincanto di chi ha nella memoria il Montepulciano d’Abruzzo tradizionale, si hanno delle belle sorprese, soprattutto quando si scopre che alcune cantine poco note vinificano bottiglie che non sfigurano al confronto con quelle del celebre Emidio Pepe, il più noto e affermato tra i consorziati delle Colline Teramane.

In generale i vini di annate recenti tendono a mancare di equilibrio, che si raggiunge via via che ci si sposta indietro nel tempo. I tannini, il legno e l’alcol vengono integrati bene ed il vino riesce ad esprimersi in modo convincente. La tipologia Riserva etichetta le migliori bottiglie, alcune delle quali, insieme ad una buona complessità olfattiva di profumi secondari e terziari, mantengono freschezza ed un potenziale di invecchiamento di tutto rispetto. Ma ciò che davvero non ci aspetta è che la scelta di un nuovo stile interpretativo da parte di alcuni produttori, che hanno scommesso sull’eleganza di questo vitigno dalla forte struttura, dia risultati così buoni, permettendoci di gustare vini sì importanti e strutturati, ma non pesanti e non opulenti, dotati di bei profumi e di una buonissima bevibilità.

Conclusioni? Una DOCG che è una scommessa con vignaioli motivati che giocano sicuramente per vincerla. Teniamoli d’occhio.

Tra i vini mi sono risultati particolarmente graditi, questi:

Fosso Corno – Orsus 2019

Rosso Rubino vivo, al naso frutta rossa matura, ciliegia e mirtilli. Il legno apporta note dolci, ma in bocca sono in ottimo equilibrio. Stessa cosa per i tannini, integratissimi. Molto pulito. Il migliore della tipologia base.

MKP 2019 – Monti

Rosso Rubino, al naso frutti rossi e leggera spaziatura. In bocca risulta pulito, coerente con quanto percepito al naso. Buona la lunghezza, ottimo l’equilibrio

Cortalto 2018 – Cerulli Spinozzi

Rosso Rubino non carico. Naso intrigante, tra la ciliegia e note di erbe aromatiche. Bei tannini, presenti ma morbidi. Uno dei più sorprendenti per l’eleganza.

Orsus 2017 Riserva – Fosso Corno

Rosso Rubino, naso frutta rossa e note di confettura di prugne. Fratello dell’Orsus 2019 per equilibrio e integrazione del tannino, ma più complesso. Buona la lunghezza e la pulizia.

Luigi Lepore 2016 Riserva – Lepore

Rosso Rubino con note aranciate, naso di confettura rossa e spezie in secondo piano. Ottimo attacco al palato che poi esprime un vino complesso, ricco, che non si scompone mai.

Colline Teramane Riserva 2016 – Mazzarosa

Rosso Rubino con naso dove, oltre la frutta, si avverte un po’ di cuoio. In bocca non esplode ma sorprende per equilibrio e buona eleganza, con tannini integrati alla perfezione e assenza di sbavature.

Neomoro 2016 di Nicodemi

Rosso Rubino carico, al naso presenta note di confettura rossa e speziatura dolce. In bocca è coerente con il naso; in più arrivano tannini morbidi che aiutano a farne un vino facile da bere,

Escol 2016 di San Lorenzo

Rosso Rubino che vira al granato, al naso presenta note evolutive più evidenti dei precedenti, ma in bocca c’è invece freschezza e tannini giusti che lo rendono vivace ed intrigante.

Luì 2015 di Tenuta Terraviva

Rosso rubino con unghia aranciata, naso intenso, complesso e profondo. Attacco al palato deciso e presente, con finale lungo e pulito che invita a bere per risentirne gli aromi che evolvono in bocca.