Undici colleghi “autonomi” scrivono a Bergoglio per denunciare il disagio della categoria: altro che privilegiati. E’ solo l’ammissione dell’avvenuta operaizzazione del lavoro giornalistico o anche una presa di distanza dal sindacato?

Non mi piacciono i piagnistei e i pietismi. Detesto la perdita di dignità che certe implorazioni comportano.
Ma non c’è dubbio che, mediaticamente parlando, quella di alcuni colleghi (molti dei quali conosco e stimo) sia stata un’idea geniale: scrivere direttamente al Papa per lamentare uno stato di sfruttamento e di indigenza, quello della subcategoria dei giornalisti non contrattualizzati, che per metodi e risultati alla fine non è poi troppo difforme da altri casi sociali assai più noti all’opinione pubblica: “Altro che privilegiati“, rimarcano.
L’effetto desiderato è stato immediato: la notizia ha fatto il giro di agenzie, giornali, tv e web, guadagnandosi titoli e visibilità.
Non sto qui a dilungarmi inutilmente sui tanti distinguo tecnici che si potrebbero fare fra i diversi tipi di “autonomo”, nè sui copiosi e assai meno “sociali” nodi ai quali la questione andrebbe fatta risalire.
Che la degenerazione del giornalismo non contrattualizzato in qualcosa di simile, almeno in termini di redditività, al dopolavoro, si sia trasformata, nell’arco di un decennio, in una piaga diffusa e sanguinante, non ci piove: è sotto gli occhi di tutti. Come è evidente la progressiva trasformazione di una professione intellettuale in un lavoro di natura operaistica, con il corollario di “numeri” e di rivendicazioni che una tale mutazione comporta.
Si tratta, a questo punto, di prenderne atto e di abbandonare certi obsoleti tentativi di modernizzazione del sistema perseguendo vie contrattuali classiche ormai impercorribili.
Il futuro di questo lavoro, ammesso che si sia sempre in tempo ad averne uno (personalmente ne dubito), va plasmato attraverso una serie di passi piccoli ma decisivi: dalla fissazione dell’equo compenso alla contrattazione separata e integrata tra autonomi e editori (o, perchè no, le singole aziende editoriali).
Tornando a bomba, resta però sul campo una domanda che la clamorosa iniziativa dei colleghi fa risaltare oltremodo.
L’idea di scrivere al Papa è stata dei firmatari, i quali l’hanno poi autonomamente inviata a Francesco (sono tutti membri della Commissione Nazionale Lavoro Autonomo dell’Fnsi), o è stata prima avallata dal sindacato o dalla Cnla?
Nel secondo caso sarebbe strano che i primi firmatari, nonchè latori, non siano stati i vertici federali. Si tratta quindi di un’indiretta presa di distanza dalla Cnla e dalla casa madre?
Nessuna delle due cose, assicurano gli estensori: “Non ci sono stati nè avalli, nè lettere scritte a nome di alcuno“, dice Maurizio Bekar, coordinatore della Cnla. “Si è trattato solo di un’iniziativa personale di noi undici colleghi“.
Meglio così.
Ma sapendo come funzionano certe cose nelle “sacre” (il Pontefice ci perdoni) stanze di Corso Vittorio, tutto poteva essere possibile. E rimane comunque da valutare quali saranno a questo punto le reazioni in Federazione e in Commissione Lavoro Autonomo.
Sarebbe poi anche bello se, vista la piega presa dagli eventi, pure gli interessatissimi membri della quiescente Commissione per l’equo compenso si mettessero una mano sulla (appunto!) coscienza, magari dandosi una sveglia.

Ad ogni caso, ecco qui sotto il testo originale della missiva:

A Sua Santità, Papa Francesco

“Santo Padre,
sappiamo che, rispetto ai gravi mali del mondo, noi che Le scriviamo non ci troviamo tra gli “ultimi” dell’umanità. E neppure tra i penultimi. Siamo, in effetti, fra tanti altri.
Siamo giornalisti, e la nostra “missione” è l’informazione: rendere pubblici i fatti che i cittadini hanno il diritto di conoscere. E perciò raccontiamo, malgrado tutto, ciò di cui siamo testimoni.
Diciamo “malgrado tutto”, perché la maggioranza dei giornalisti italiani appartiene alla fascia disagiata e precaria dei lavoratori autonomi. Ma i mezzi di comunicazione per cui lavoriamo non danno certo spazio e voce alle nostre istanze. Non riusciamo così a raccontare ai cittadini la gravità della nostra condizione lavorativa. Tanto che in molti credono che siamo una casta, che gode di privilegi ben al di sopra dello standard di vita medio della popolazione.
Come giornalisti e cittadini abbiamo ascoltato le Sue recenti parole, forti e chiare, pronunciate il 22 settembre a Cagliari ma anche altrove, sulla dignità del lavoro e delle persone, sul dramma della disoccupazione e delle speranze disilluse. Perciò Le scriviamo affinché si sappia che noi siamo sì giornalisti, ma non i privilegiati a cui tanti pensano.
Siamo lavoratori, con o senza Partita IVA, costretti dalla crisi a esercitare una “libera professione” che si trasforma in una prigione di stenti e difficoltà economiche, perché il nostro compenso viene deciso e imposto da altri.
Molti di noi, pur lavorando a tempo pieno e senza orari, non guadagnano neppure quanto serve per mantenersi; tanto che sono costretti a contare sulla solidarietà dei propri cari, nell’attesa di tempi migliori; che però non giungono.
La maggior parte di noi vive nell’incertezza del presente e del futuro. E, a fronte dei pochi retribuiti con cifre dignitose e talvolta anche elevate, molti autonomi si vergognano persino di confessare quanto guadagnano, perché si sentirebbero sviliti nella dignità personale.
In questo lavoro ridotto a prigione sono rinchiuse la passione per il nostro mestiere, e anche parte dell’informazione e della libertà di stampa di questo Paese. Perché siamo noi “precari”, che scriviamo tanto di quello che si legge sui giornali, che si sente e vede in radio e tv, o nei mille canali del web. Noi parliamo degli altri, garantendo l’informazione per i cittadini, fatta delle piccole e grandi notizie che si susseguono quotidianamente.
Ma siamo alla mercé di un mercato che ha spesso portato i nostri compensi di lavoratori autonomi a livelli insufficienti per garantire una vita indipendente dalle famiglie di origine, e tantomeno a formarne di nuove. Non abbiamo le tutele di chi ha un contratto. Non abbiamo ferie pagate, né riposo settimanale, né copertura malattia né ammortizzatori sociali.
I giornalisti lavoratori autonomi sono pagati in media dai cinque ai quindici euro lordi per un articolo, che può richiedere anche varie ore di lavoro. E da questi importi vanno detratte le spese e i contributi previdenziali. Ma non sono rare le retribuzioni anche inferiori, persino meno di un euro. Pochi spiccioli vengono riconosciuti per una fotografia, cifre irrisorie per girare e montare video. C’è addirittura chi ci chiede di scrivere gratis, in nome della “visibilità” assicurata dalla firma su un testo pubblicato, o per vedersi poi retribuire altri servizi, ma alle cifre prima indicate.
Santità, Padre Francesco, per queste ragioni rispettosamente Le chiediamo di aiutarci a far capire a tutti i cittadini e alle istituzioni, spesso sorde, che in Italia i giornalisti lavoratori autonomi sono in larga parte tutt’altro che dei privilegiati. Che chiediamo sia rispettata la nostra dignità di lavoratori, che hanno diritto a un presente e a un futuro di vita personale.
Perchè difendere la dignità della professione giornalistica, in tutte le forme in cui viene esercitata, è difendere anche la dignità e la libertà dell’informazione in questo Paese”.

Maurizio Bekar (Trieste), Saverio Paffumi (Milano), Solen De Luca (Roma), Antonio Armano (Milano), Moira Di Mario (Roma), Dario Fidora (Palermo), Giovanni Ruotolo (Torino), Susanna Bonfanti (Firenze), Francesca Marruco (Perugia), Laura Viggiano (Napoli), Claudio Chiarani (Riva Del Garda), giornalisti freelance, membri della Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi.