Da uno scambio casuale su FB tra Gianni De Felice e Enzo Iacopino, un illuminante spaccato – dalla voce di chi c’era – sulle scellerate scelte che negli anni ’90 gettarono il seme dell’odierna catastrofe professionale e dell’insopportabile, conseguente retorica.
Mi sono appena congratulato in privato con il collega Gianni De Felice, ex Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, per essere stato l’unico che io conosca, oltre a me, ad aver messo nero su bianco, nell’ambito di uno scambio di battute su FB con il presidente dell’OdG, Enzo Iacopino, la verità che molti altri colleghi conoscono e raccontano, ma esitano a mettere per iscritto, su come, quando e perchè nacque il “papocchio” istituzionale che dette vita al “giornalistificio”.
Quel giornalistificio che oggi prolunga i suoi effetti dando vita al cosiddetto “ricongiungimento” dei pubblicisti approvato dall’Ordine, del quale tanto si parla su questo blog (ad esempio qui) e non solo, tra sconcertanti aspettative dei più ingenui e una buona dose di fuffa elettorale attorno.
Non aggiungo nulla a quanto sostenuto da Gianni, che sottoscrivo in pieno.
Mi limito a riportare il colloquio immediatamente precedente per rendere più facile la comprensione del discorso.
Parlando di “ricongiungimento, dicevo: “Io per primo sono favorevole alla “regolarizzazione” dei professionisti di fatto, quelli veri però, dei quali ho fatto a lungo parte. Basta capirsi sul significato. Come dici tu, bisogna “vivere di giornalismo“. Se però non si stabilisce il modo in cui ciò si dimostra e anzi se ne affida l’accertamento alle autoasseverazioni, si avrà solo un travaso da un elenco all’altro, ciarlatani inclusi, e il permanere del nodo vero. Cioè, per gli uni e gli altri, la mancanza di lavoro e di reddito.“.
Interviene Enzo Iacopino: “Stefano Tesi pone sempre problemi seri. Ma ha ragione Gianni: è sbagliato il termine ricongiungimento (UNA IDEA DELLA FNSI) sarebbe stato meglio proprio regolarizzazione. Te possino (licenza romanesca altrimenti il prof mi sgrida), Gianni… perché non lo hai suggerito?“.
E tocca a De Felice: “Caro Enzo, posso anche spiegarmi perché la FNSI ha parlato di “ricongiungimento” e non di “regolarizzazione”. Per il semplice fatto che fu proprio la FNSI a inventarsi la papocchia dei pubblicisti che facevano i professionisti chiamandosi “professionali“: in aperta ufficiale conclamata violazione di legge. Purtroppo, sotto quella papocchia c’era anche la mia firma. L’intenzione era buona, anzi necessaria, perché con quell’éscamotage si convogliava la contribuzione previdenziale dei “pubblicisti in redazione” verso le già esauste casse dell’Inpgi, anziché dell’Inps. Ma la soluzione escogitata costituiva una improponibile scorciatoia. Si era a metà degli anni Novanta ed ero nel direttivo della Lombarda. Venni messo in un gruppetto di lavoro che, capitanato da Piero Scaramucci, doveva separare per la Lombardia i pubblicisti veri dai pubblicisti “professionisti abusivi“, che da quel momento si sarebbero chiamati ai fini del sindacato “professionali”. In sede di cernita sostenni con insistenza la tesi che si sarebbe dovuto istituire una sessione speciale di esame di idoneità per far diventare quei pubblicisti professionisti e non “professionali”: cioè fare quello che si sta facendo oggi con quasi vent’anni di ritardo. Ma rimasi vox clamans in deserto: cioè, fecero tutti orecchie da mercante. Una certa corrente della FNSI aveva bisogno di voti e preferì imboccare la comoda scorciatoia, che fu sancita dal Congresso FNSI di Riccione (o Cesenatico?). In sede di votazione congressuale, fui indotto per spirito di appartenenza ad esprimermi in favore dell’improvvida riforma. Sbagliai, fui miope. Come spesso accade, infatti, el tacòn si rivelò pèzo del buso. Ristorammo per un po’ le casse dell’Inpgi, ma aprimmo una voragine: quella di diventare giornalisti senza sostenere il temuto esame di idoneità e senza legarsi le mani con la esclusività professionale. Una voragine nella quale si precipitarono i Consigli regionali dell’Ordine, ai quali non pareva vero di sfornare – senza praticantato e senza contratti di assunzione – giornalisti a go-go. Lo scempio cominciato allora, oggi lo abbiamo sotto gli occhi“.
Mi si perdoni una chiosa finale: ci sarebbe bisogno che, molti, gli occhi almeno li aprissero…