Viaggi & Personaggi, di Federico Formignani.
Non c’è niente di meglio di un buon amico per conoscere i segreti enogastronomici di un luogo. Se poi è lo chef più famoso dell’isola…

 

Nel corso dei miei numerosissimi viaggi a Malta e nelle sue isole

Ma non è una sola isola, chiamata per l’appunto Malta? No, eh! Sono di più e io le ho visitate tutte: Malta, la più grande; Gozo, dove hanno vissuto Ulisse e Calypso; quindi Comino e Cominotto con la loro bellissima Laguna Blu e scogli sparpagliati; poi c’è l’isoletta allungata dove la leggenda racconta sia naufragato San Paolo e per finire Filfla, uno scoglio piatto a un paio di chilometri dalla costa meridionale, attorno al quale si può solo girare con barca o motoscafo, essendo proibito l’approdo; l’isolotto ha sassi, grosse pietre tutt’attorno la base, perché gli inglesi si allenavano a sparargli contro cannonate; ciò malgrado, ci vivono in pianta stabile una specie di nero corvo marino e una preziosa endemica lucertola blu.

Resa giustizia alla composizione geografica della piccola repubblica, posso trasferirmi seduta stante in uno dei miei luoghi del cuore, Valletta, la superba città dei Cavalieri nella quale è comodo sostare, entusiasmante girovagare: prima senza una meta precisa, poi sapendo cosa si va a scoprire. Ma Valletta è anche da assaporare, in tutti i sensi; cosa meglio di un vero amico, allora, per scoprirne l’aspetto gastronomico; piccoli segreti e delizie di una cucina che sposa i prodotti della terra con quelli ittici del Mediterraneo.

Ho conosciuto Julian Sammut nel suo ristorante Rubino, nell’Old Bakery Street, lunghissima via che dai Giardini Hastings, dove inizia Valletta, scende stretta e a precipizio lungo la penisola di Sciberra sulla quale la città è stata edificata, per terminare la corsa (in salita) verso la baia di Sant’Elmo e il Forte con lo stesso nome. Percorrere questa strada, resa preziosa dai molti terrazzin che punteggiano le case e sempre dominati dalla mole bianca della chiesa di Nostra Signora del Carmelo, nella parallela Old Mint Street, dà un senso – tra i molti altri possibili – al mio innamoramento per questa splendida città.

Dopo una prima volta con amici, mi è subito piaciuto tornare a frequentare Rubino. Oltre a mangiar bene, si è sempre in ottima compagnia anche se si è soli, grazie al titolare del locale e a un personale cortese e collaudato. Julian, poi, col quale è stato facile far amicizia per le reciproche passioni cittadine (lui per Milano e io per Valletta) mi ha sorpreso ad ogni incontro raccontandomi i piccoli segreti della capitale, a cominciare dal nome: Il Belt (la Città) semplice e insieme regale appellativo; oppure tracciando la storia vivace e interessante del glorioso Teatro Manoel, che si trova a due passi dal ristorante; insomma, se c’era qualche dubbio, se avevo bisogno di una “dritta” per svolgere al meglio il mio lavoro nelle isole, Julian si è sempre offerto come preziosa fonte di informazioni.

Da Rubino non ho mai avuto un piatto preferito. Ho sempre lasciato fare a Julian, in piena fiducia. D’altra parte, lo chef Sammut aveva innato il necessario giusto equilibrio nel proporre le sue creazioni gastronomiche, non mancando mai di ricordarmi quanto dicono a Malta, nella loro lingua di origine semitica: “Bla iket tmut, u l-ikel bosta jmewwet qasir uk-għomor (senza cibo si muore, troppo cibo uccide prima del tempo)”. Malgrado la saggezza del proverbio, lo chef mi confidava che c’era un giorno della settimana nel quale i canoni del rigore gastronomico andavano a farsi benedire, cioè alla domenica. In effetti è come un rito, quello della domenica mattina, diceva; Rubino è chiuso come ristorante, ma funziona alla grande come pasticceria: i maltesi – non solo quelli di Valletta – fanno la fila per acquistare dolci vari e soprattutto le qassatat (cassate, grosse torte dolci alla ricotta); un po’ diverse da quelle siciliane, ma golose e sostanziose la loro parte; degno coronamento dei pranzi domenicali dei maltesi.

Per gli amici Julian mette a disposizione la sua bella villa di Haz-Zebbug (letteralmente: villaggio delle olive; ve ne sono due, uno a Malta e l’altro a Gozo) situato nel centro isola, poco a nord dell’aeroporto di Luqa.

È una ex fattoria costruita in pietra globigerina, con alti soffitti a volta, trasformata per essere adattata alle esigenze di vita e di lavoro dell’intera famiglia. Si intuisce subito – al di là delle ovvie “comodità” di chi se le può permettere (piscina, serre vegetali, locali per la conservazione e la trasformazione delle materie prime e del cibo) – che ogni locale, ogni spazio è rispettosamente aderente allo stile architettonico maltese tipico dei piccoli centri un tempo rurali, oggi completamente innervati nel vasto tessuto urbano dell’isola maggiore, la più densamente popolata. Comunque questa villa, per Julian, è a un tempo luogo di vita e insieme buen retiro per le sue “sperimentazioni” culinarie. Non è poi così difficile cucinare bene, dice con falsa modestia Sammut, autore di un vendutissimo libro (“Introduzione alla cucina maltese“) che lo ha consacrato come uno dei massimi esperti nel suo campo; e ne elenca le ragioni: l’isola è ricca di pesce fresco, ha verdure e ortaggi saporiti, frutta deliziosa e abbondanza di limoni, olive, aglio, capperi, menta, basilico e tanti altri prodotti figli del clima di Malta, generalmente uno dei più fortunati del Mediterraneo. Detto questo, crea seduta stante uno spuntino di mezza mattina, goloso e introduttivo a più sostanziose delizie; si tratta dell’Hobz biz zejt (pane e olio) insaporito con alcune preziose erbe aromatiche, il modo migliore per entrare in sintonia con i gusti maltesi; poi è la volta della ftira, una specie di pane rotondo, schiacciato e con un buco centrale; si mangia sia fresco e croccante sia riscaldato in forno il giorno dopo; quello che gustiamo è nella prima versione ed è arricchito con pomodoro, olio, capperi e olive; non mancano poi due varietà di dolci: i biskuttini tal-rahal (biscottini del villaggio) e le qagħaq tal-għasel (ciambelline al sesamo) difficili da pronunciare (hà-talàsel) deliziose al palato. Riempitivi, appunto, di mezza mattina. Ma i famosi piatti cha “vanno” di più da Rubino, quali sono?

Gli esperti, precisa Julian, suddividono la cucina maltese in due gruppi fondamentali: quello riconducibile alla storia delle isole, rimasto immutato per secoli, che comprende una discreta varietà di dense zuppe di verdure, di stufati, di formaggi di capra, patate e la ftira, un tipo di pane cotto al forno, che abbiamo già assaggiato. Alla tradizione contadina appartengono anche le gbejniet (formaggette) fatte con il latte di pecora o di capra; sono di tre tipi: fresche, morbide e bianchissime oppure moxxi, vale a dire stagionate all’aria e di colore giallino, oppure ancora tal-bzar, ricoperte di pepe nero macinato grosso e cosparse di olio o aceto di vino rosso; sono quest’ultime a conservarsi più a lungo. Al secondo gruppo appartiene la cucina della gente di città, quella della classe media, che senza dubbio risente delle influenze di altre zone del Mediterraneo; i piatti più celebri comprendono la soppa ta’l-armla (zuppa della vedova) fatta con ingredienti semplici e così chiamata perché era il piatto d’amicizia e conforto che le donne di Malta portavano a quelle che avevano perso il marito in mare e dovevano quindi affrontare le difficoltà della vita. Tra i primi troviamo anche la timpana (timballo di pasta al forno) paragonabile al timballo siciliano, mentre i secondi piatti più noti sono uno di “terra”: fenek bit-tewm u bl-inbid (coniglio all’aglio e vino) e l’altro di “mare”: lampuki biz-zalza pikkanti (lampuga in salsa piccante).

La tavola dei Cavalieri finiva sempre – e continua anche oggi – con i dolcetti casalinghi: ħelwa, di probabile origine ottomana, e imqaret, decisamente tunisino. Sono dolci a base di datteri fritti, solitamente gustati con il miele di Malta. Non a caso, conclude Julian, l’antico nome della mia terra era Melita.