Tutti i precari e liberi professionisti (o che si considerano tali senza esserlo) dovrebbero leggere quanto scrive qui Pietro Ichino: In Italia non c’è abuso di contratti a termine, ma di partite iva. Il 90% dei presunti freelance sono paradipendenti o abusivi in (eterna) attesa di assunzione. Ecco perchè precariato e libera professione NON sono assimilabili.
Non lo dico io, ma un giuslavorista acuto e di chiara fama come il deputato del PD Pietro Ichino. Possibile che i cervelloni della Federazione Nazionale della Stampa non lo capiscano?
Il senso dell’intervista rilasciata da Ichino all’agenzia TMNews (vedi il link sopra) è il seguente: non è affatto vero che in Italia si abusa dei contratti a termine, la cui consistenza è più o meno nella media europea, ma delle partite iva, alle quali si ricorre per camuffare come “autonomi” i moltissimi rapporti di lavoro dipendente che “si svolgono in modo continuativo con un unico committente e con pieno inserimento nella sua organizzazione aziendale”. Per rimediare a questa stortura “serve una riforma che, senza oneri per lo Stato, e con vantaggi sia per le imprese sia per i nuovi assunti, garantisca flessibilità alle prime e sicurezza ai secondi”.
Sembra il ritratto della situazione di decine di migliaia di colleghi giornalisti, giovani e ahinoi non più giovani, che affollano le redazioni nella spesso vana speranza che qualcuno – come dicevano una volta le aspiranti soubrette – “li noti” o si ricordi di loro.
Una marea che però, nell’illuminata percezione dei nostri sindacalisti, non costituisce una sottocategoria a sè e come tale meritevole di una tutela ad hoc, ma va a ingrossare il pentolone del “precariato” nel quale, allegramente (si fa per dire) e alla rinfusa, vengono da sempre gettati tutti quei soggetti residuali (ed eppure quantitativamente tracimanti, sia in senso numerico che in termini di contenuti prodotti) estranei al rapporto di lavoro a tempo indeterminato. E sbrigativamente bollati, appunto, come “precari”: cioè i precari veri e propri (ovvero titolari di contratti a termine), freelance, abusivi, co.co.pro, aspiranti, collaboratori a vario titolo, pubblicisti.
Una deriva, quella della proliferazione delle partite iva, che ha affossato il lavoro dei freelance “veri”, consentito l’esplosione degli iscritti all’Ordine, dilatato all’infinito il limbo degli abusivi sostanziali, inflazionato la professione.
Paradosso dei paradossi, l’unico soggetto che non ha beneficiato del boom è stato proprio il sindacato dei giornalisti il quale, giustamente e limpidamente percepito dai “precari” (virgolette d’obbligo) come non rappresentativo dei loro interessi (la riprova? Leggete qui), è infatti dai medesimi disertato in massa: solo il 15% dei non contrattualizzati (i quali costituiscono il 60%, 27mila contro 22mila, dei 49 mila giornalisti italiani con un reddito, anche se il dato davvero sconvolgente è che molti “autonomi” guadagnano complessivamente appena 5mila euro lordi all’anno) è infatti iscritto alla Federazione della Stampa.
Vorrà pure dire qualcosa, no?
No, secondo loro non vuol dire nulla. E, ostinandosi a considerare tutti uguali a tutti, continuano a danneggiarci.