Ricevo da più parti, compresi colleghi che stimo, l’invito a sottoscrivere l’appello rivolto all’Fnsi e ad “aprire un dibattito”. Ma io nicchio: non ho capito che vuol dire, nè a che serve in concreto. Se prima non si fa chiarezza su “chi” è “cosa”. Magari già a Perugia.

Da settimane un’abbastanza martellante battage sta invitando i giornalisti italiani, me compreso, a sottoscrivere l’appello per la convocazione, da parte dell’Fnsi, degli “stati generali dell’informazione precaria“. Una proposta, si legge, avanzata nel novembre scorso dall’Assemblea e dalla Commissione nazionale lavoro autonomo (Cnla) della Federazione stessa.
Ora, già il fatto che la campagna nasca dall’iniziativa di un ente privo di sostanziali poteri come la Cnla (la quale, altrimenti, gli stati generali degli autonomi se li sarebbe potuti convocare da sola, visto che ha pure la pretesa di rappresentarli) e “parta” con cinque mesi di ritardo solleva qualche perplessità, ma andiamo oltre.
Il manifesto fa un lungo elenco di cose – molte totalmente condivisibili, altre meno, altre ancora puramente utopiche – che i promotori vogliono “ora e subito“. Per sapere quali, basta leggere qui.
Retorica un po’ stucchevole, sfasamento cronologico e troppe firme “sospette” a parte, è però un altro l’aspetto che mi rende tiepido verso l’iniziativa.
Che vuol dire “stati generali”?
Dell'”informazione precaria“, poi?
Storicamente, gli Stati Generali erano un istituto medievale francese che prevedeva, in caso di situazioni di particolare gravità, la convocazione dei rappresentanti dei tre “stati” in cui si suddivideva la società del tempo (clero, nobili e popolo) per sottoporre loro e far votare, a fini puramente consultivi, provvedimenti d’emergenza. La convocazione più famosa è quella del 1789, che precedette la Rivoluzione.
Siccome non credo, nel caso nostro, che la convocazione abbia lo scopo di indurre una (pur da me auspicatissima) rivoluzione sindacale, vediamo di capirci.
Dire “stati generali dell’informazione precaria” è innanzitutto una contraddizione.
O si convocano infatti gli “stati generali dell’informazione” (contrattualizzati, precari, liberi professionisti, collaboratori) oppure, prima, ci si chiarisce su quali siano e in che cosa consistano gli “stati” in cui si suddivide il cosiddetto precariato (meglio lo definirei, vedi sopra, lavoro autonomo) giornalistico, scandendo bene i confini tra le diverse tipologie e i conseguenti, spesso divergenti interessi, e poi li si convoca.
Su ciò, però non solo al momento non ci sono certezze, ma domina la più totale confusione concettuale. Da cui deriva l’impossibilità di fare ordine e, pertanto, di collocare le diverse professionalità nello “stato” giusto.
Dunque di che stiamo parlando?
Ci sono abusivi che si proclamano freelance, freelance che si autodefiniscono precari, cococo che si autocollocano tra i liberi professionisti, collaboratori che si qualificano abusivi, professionisti di fatto veri e presunti in attesa di ricongiungimento, precari che si etichettano freelance, pubblicisti in senso tecnico che non si definiscono nulla (e allora non si capisce se e dove andrebbero collocati visto che, fino a prova contraria, sono anche loro a pieno titolo giornalisti in posizione effimera). Gli stupefacenti risultati (qui) del mio più volte evocato censimento dei freelance ne sono la prova più chiara.
Allora, forse, il dibattito andrebbe sì incanalato fin da subito, già al Festival di Perugia. Ma prima su questi punti e poi sul resto. Per capire bene con quali tipologie giornalistiche abbiamo a che fare e quali di queste integrino concretamente la fattispecie dell'”informazione precaria”. E solo dopo casomai, messi a fuoco i termini reali della questione, proseguire.
Io ad esempio sono un libero professionista che non è, non è mai stato nè si sente, anche a prescindere dal catastrofico momento economico e professionale, “precario”. Essendo appunto precario chi ha un contratto a termine o, al massimo, un incarico a termine.
Dunque quelli come me dovrebbero essere convocati? Oppure no?
Ecco, diciamo allora che firmerò la petizione quando qualcuno mi darà una risposta precisa.
Quanto al dibattere, non mi tiro certo indietro. Purchè su un tema chiaro.