Nella palestra d’acuto intelletto dei social infuria da giorni la polemica contro la stampa, accusata d’aver soffiato sul fuoco dell’allarme da contagio. Nessuno che però, eccessi a parte, sia capace di discernere la responsabilità dei fatti da quella di chi li riferisce. O che non critichi per cointeresse.

 

Giorni fa, un po’ sul serio e un po’ per celia, avevo scritto su FB di aver sognato che, alla fine, la colpa dell’epidemia di coronavirus l’avrebbero presa i giornalisti; e poi, al risveglio, di essermi accorto che ci eravamo quasi arrivati sul serio.

Sono stato buono, anzi ottimo profeta.

Infatti la previsione si è puntualmente avverata. I social traboccano di insulti contro i giornalisti più dei carrelli del supermercato delle merci accaparrate da chi li accusa. Strano testacoda.

Ora, io posso essere definito tutto tranne un difensore a priori della categoria giornalistica che – scripta manent, anche qui su Alta Fedeltà – non perdo occasione per fustigare.

Se la categoria se lo merita, naturalmente.

In questo caso, però, non lo merita. Salvo forse casi singoli che tuttavia, in quanto singoli, non possono appunto essere presi a pretesto per accusare tutti indistintamente.

Aggiungo che, personalmente, non sono affatto intimorito dal virus, derido il panico collettivo e le sue sindromi, stigmatizzo ogni sorta di eccesso.

Ma mi chiedo anche cosa dovremmo fare noi giornalisti quando si verificano fatti di cronaca di tale rilevanza globale da smuovere governi, sanità, relazioni internazionali. E quando la materia in sè, per non dire le sue implicazioni, è talmente tecnica e complessa che nessuno, tranne un addetto ai lavori nella specifica materia medesima, può dirsi abilitato a sbilanciarsi, salvo poi essere pure smentito da colleghi suoi pari e producendo, così, ulteriore confusione e sconcerto nell’opinione pubblica.

Così, nella caccia all’untore si è passati dalla ricerca del paziente zero a quella del giornalista zero. E si sentono cose surreali.

Smania di protagonismo“. Protagonismo? In nome di che? “Creano allarme nel nome dell’audience“. Dell’audience? L’audience conviene, casomai, agli editori, che vendono i giornali e la pubblicità in esso contenuta, mica ai giornalisti. I quali non sono blogger che scrivono senza filtro e spesso senza nozioni. I giornali sono strutture complesse, gerarchiche, con una catena di comando, verifica, aggiornamento, valutazione delle notizie. Chi scrive i pezzi, tranne che nelle testate piccolissime o nell’on line, non li titola, nè fa occhielli, nè sommari, nè catenacci. E i giornalisti hanno un senso di responsabilità, una professionalità e una deontologia che non è proprio una bazzecola. Insomma non si improvvisa e questo dovrebbe far pensare.

Non dovrebbero dare notizie allarmanti“. Come? Ho capito bene? Dovrebbero, cioè, fare da pompieri, negare la verità o tacerla, camuffarla, edulcorarla? Una notizia è una notizia e deve essere data, se verificata. Allarmante o meno che sia. C’è un governo che blocca voli, dispone l’esercito, dirama protocolli e che si fa, si tace? Regioni e ministero diffondono bollettini medici con numeri e statistiche e che si fa, non si pubblicano, si tacciono, si “interpretano”? E se la realtà fosse anche peggio, che direbbe l’opinione pubblica, che la stampa è collusa, ci sono complotti, poteri forti in azione? Se i contagiati o i morti aumentano, lo si nega? No, lo si dice! E la gente spaventata se la prenda con i responsabili del contagio, non con i cronisti.

Così danneggiano l’economia“. Prego? Sono i giornali e i giornalisti che danneggiano l’economia? L’economia, casomai, è danneggiata dai fatti che i giornalisti riportano. Perchè quindi non si dà la colpa a chi i fatti li provoca, anzichè a chi, facendo il proprio lavoro, li racconta?

In definitiva, secondo l’acuto uomo della strada, se dai le notizie sei un untore dell’allarmismo catastrofico, se non le dai sei un omertoso in combutta con qualcuno.

Poi, fantastico, scopri che i massimi critici dei giornalisti sono quelli che, dai fatti riportati dalla stampa, hanno guarda caso da perdere economicamente. Ma se, dal loro punto di vista, la stizza e la preoccupazione per il danno subito sono comprensibili, lo è molto meno la cieca volontà di calunniare chi, secondo loro, avrebbe dovuto tacere, o mascherare. Colmo dei colmi, tra costoro ci sono spesso anche altri giornalisti, i quali, avendo degli interessi indiretti da difendere, criticano i colleghi accusandoli di soffiare sul fuoco di ciò che a loro preme, non della verità che dovrebbero invece contribuire a diffondere, come la deontologia imporrebbe loro.

Ma perchè invece costoro, consapevoli della loro incolpevole ma oggettiva parzialità, non capiscono che è meglio tacere?

Sia chiaro: di porcherie se n’è viste tante, anche sul coronavirus. Articoli a capocchia, titoli ad effetto. La maggior parte, però, su testate schierate, quando non apertamente di partito, e come tali strumento della campagna elettorale permanente nella quale da anni siamo immersi, quindi totalmente inaffidabili sul piano dell’oggettività. Se le conosco, le evito.

Ma il resto?

Secondo alcuni brillanti pensatori il fatto che il coronavirus possa essere fatale a anziani e malati cronici non è allarmante, anzi, è un argomento che dovrebbe essere usato per ridimensionare l’allarme. “Tanto moriranno lo stesso alla prossima epidemia di influenza“, ho visto scrivere sui social. Quindi i giornalisti dovrebbero trascurare questo irrilevante dettaglio, anzichè sottolinearlo.

Ora, come ho scritto l’altro giorno su un post, vorrei tanto che il vecchino o il malato oncologico di turno fossero vostra madre, vostra nonna, vostra sorella, vostro marito. La pensereste allo stesso modo? O pretendereste – giustamente – che sulla minaccia portata da un virus nuovo e molto più aggressivo delle banali influenze (punto su cui, incredibile!, concordano tutti gli specialisti) si dessero le più ampie informazioni possibili, si prendessero le massime cautele, si adottassero le forme di prevenzione più rigide? E che di ciò la stampa desse ampia notizia e diffusione, così come di eventuali contagi, epidemie, vittime?

E invece, anche oggi illustri blogger, indignati influencer, mercanti e venditori vari traboccano di sdegno contro la stampa, colpevole – questo il vero bersaglio delle accuse, al di là delle fantasiose argomentazioni su una presunta “informazione falsa” (falsa?!?) – di aver rovinato loro la piazza, il business.

Davvero curioso: la crisi la procura la stampa, mica gli annunci catastrofistici e gli allarmi di governo e regioni. Calcio sospeso, cinema e musei vietati, scuole chiuse, voli interrotti, ma se la gente non va a ristorante è colpa dei giornalisti. Eh, già.

Ah, a proposito: qualcuno di questi indignati ha mai alzato la voce quando altre crisi hanno azzerato gli affari di altre categorie? Non so: il terremoto in Umbia e Marche, la mucillagine sull’Adriatico, i crolli in borsa per guerre e attentati, il rialzo della benzina?

No, tutti muti. Bastava che i giornali parlassero bene di vini, ristoranti e località turistiche fuori pericolo e il problema scompariva.

Bravi.