Rispetto agli strafalcioni del marketing, anche l’anglobecero fa tenerezza. Resta un mistero: perchè a fare il copywriter non mettono chi sa, anzichè i tamarri (NB: il post NON è sul cartello…).

 

Ai tempi belli, gli “spiriti” erano quelli dei morti, insomma i fantasmi o le “inquietanti presenze” che presidiavano luoghi di norma detti “infestati“.

Oggi, purtroppo, di infestato c’è rimasta solo la lingua italiana.

Minacciata tanto da anglobecerismi e strafalcioni figli dell’analfabetismo di ritorno (e pure di andata, diciamolo) quanto dalla perversione tamarra del marketing, che con le sue trovate cervellotiche non esita, pur di provare a vendere qualcosa, a sfidare il grottesco: all’italian sounding si risponde dunque con l’american sounding della peggiore specie.

E’ tutto lineare, a pensarci bene, considerato che il compratore finale è tamarro esattamente come il venditore. Insomma è un incontro di tamarri sensi.

Eppure non si riesce a farci l’abitudine, anche perchè il livello della mentecatteria linguistica cresce senza sosta.

Giorni fa l’arrivo di un comunicato stampa che, parlando (in italiano) di liquori, a un certo punto deraglia vaneggiando su un “nuovo spirits“. Sì, pure con la esse finale, come se fosse un plurale.

Chissà, forse l’autore del testo ha letto sul giornale di bordo di qualche compagnia low cost balcanica la reclame di qualcosa in tema “wines and spirits” e ha creduto che l’espressione più corretta, giovanilistica o sgargiante da usare fosse quella lì. Oppure è ancora convinto che, nella nostra lingua, i plurali inglesi si scrivano con la esse e vuole sfoggiare la sua sapienza negli idiomi stranieri. O, ancora, forse (ormai non mi meraviglio di nulla), gli è piaciuta l’assonanza tra spirits” e “spritz e ha ritenuto così di fare una furbata fonetico-potatorio-commerciale.

Siccome non voglio infierire, vi risparmio le pietose panzane che si sono inventati per fare storytelling su quel prodotto.

Ma comunque vada, non c’è dubbio: si trattava di estensori poveri di spirits.