Oggi non c’è molto da ridere, nonostante il finale comico, ma da riflettere: com’è possibile che in un servizio pubblico siano tollerati irresponsabilità, sinecure e scaricabarili solo per far ricadere sul cittadino il costo, l’inefficienza e la negligenza?

 

Siccome alle Poste hanno troppo da fare e non possono perdere tempo a svolgere il proprio mestiere, affidano le consegne dei pacchi al corriere SDA. Il quale, avendo a sua volta da fare, lo affida ad autisti che, avendo comprensibilmente da fare, spesso non procedono alle consegne e fingono di non aver trovato il destinatario. Infatti, guarda caso, non lasciano mai avvisi cartacei. La sera però ti arriva un messaggio per dirti che – non per colpa loro ma tua, sia chiaro – il collo è giacente in deposito.

Un film già visto, intendiamoci: anche se hai pagato per qualcosa da ricevere a domicilio, devi andare a prendertelo (…), con perdita di ore e di km.

Stavolta però si è andati oltre.

Il 25/1 alle 19.12 mia moglie riceve un’email dal “Gruppo Poste Italiane, re-mailsda@sda.it” che dice che il suo pacco codice xy inviato dal mittente yz è presso il locale ufficio postale. Dettaglio: si trova a 10 km di sterrato da casa mia.

Siamo alle solite, penso: un altro simulato tentativo di consegna.

Verifico: quel giorno nessuno tra le 8 e le 19 si è mosso di casa, né l’inesorabile telecamera ha immortalato alcuno che suonasse o tentasse consegne. In sostanza non sono venuti ma hanno fatto finta, scaricando sul destinatario onere e costo di andare al paesello.

Vado allo sportello, dove mi accoglie (…) un’impiegata che né porge un saluto e né risponde al mio. Quando si dice l’educazione. Vabbè.

Esprimo con toni pacati il caso, lei mi ascolta qualche secondo con espressione annoiata e senza nemmeno farmi finire il discorso dice sbrigativamente che “si vede che sono venuti e lei non c’era”.

Prendo fiato e rispondo che non solo non sono venuti, ma nemmeno lo affermano: semplicemente le Poste avvisano che il pacco atteso a casa è giacente presso di loro. La ragione è ignota. Come si spiega?

Senza mutare di un millimetro l’espressione ostile, la signora mi dice “e io che ci posso fare? Faccia un reclamo all’Sda”.

Tiro un respiro profondo e faccio presente che Sda lavora per le Poste e che sono le Poste a inviarmi un’email di avviso, quindi come indicato sono venuto all’ufficio postale, per il quale dietro allo sportello sta la signora con cui sto parlando, la quale pertanto rappresenta a tutti gli effetti le Poste. A chi altro dovrei rivolgermi?

La tizia, sempre più torva, mi guarda e con tono accondiscendente mi dice che “guardi, c’è gente che aspetta”, invitandomi in pratica a togliere il disturbo e a non rompere. Roba da pazzi. Aggiunge che siccome il destinatario del pacco è mia moglie, può ritirarlo solo lei. Replico che nell’email inviata dalla Poste non si fa menzione della necessità di ritiri di persona, né di deleghe scritte. E che io voglio solo una spiegazione del mancato recapito a casa. La tipa si gira da un’altra parte e ripete: “faccia reclamo”.

Bene, dico io a questo punto abbastanza inviperito, come si fa a fare reclamo?

Per fortuna interviene una signora molto più gentile, che in chiaro imbarazzo e tentando di giustificare il nervosismo della collega (la quale sta già battibeccando con un altro utente, dev’essere un vizio) col fatto che spesso la gente è scortese, mi stampa un modulo di reclamo. Faccio presente che io non sono stato affatto scortese e che alla cortesia dell’utente, ossia la mia, chi sta al pubblico deve rispondere con pari cortesia, lasciando a casa gli eventuali umori o problemi personali.

I presenti in attesa, evidentemente non nuovi a scene simili, annuiscono.

Il modulo, pomposamente intitolato “lettera di reclamo” (vedi foto in apertura, provate a stamparla per rendervi conto delle dimensioni), è un papiro in formato A4, vergato in postalese stretto, scritto fittissimo e microscopico al punto che anche per me, figuriamoci per la sora Cesira, è difficile perfino inserire il numero civico di casa.

Comunque compilo il modulo.

Mentre lo consegno, la prima impiegata (che fingeva di occuparsi d’altro, ma evidentemente tendeva l’orecchio a quello che facevo e dicevo), trova il modo di far presente a voce alta, in modo che tutti sentano, che il pacco era inviato a mia moglie e che il reclamo non posso firmarlo io. Insomma per salvarsi si aggrappa a un pietoso formalismo.

E’ un grave autogol: mi faccio ridare il modulo e al reclamo per la simulata consegna aggiungo quello per il comportamento scorretto dell’operatore.

Piuttosto costernata, la seconda impiegata mi fa presente che comunque, per avere una risposta, “ci vorrà un po’ di tempo”. Lo immaginavo, rispondo.

Ora, la riflessione è questa: come è possibile che in un servizio pubblico a cui si affidano anche soldi, documenti, lettere e oggetti importanti, sia tollerata una tale filiera di sinecure, irresponsabilità, impunità, scortesia, cavillosità, scaricabarile al solo scopo di far ricadere sul cittadino il costo, l’inefficienza e  la negligenza dei singoli e dell’intero sistema?

La faccenda ha avuto comunque un epilogo comico.

Tornato a casa ho provato a chiamare gli strombazzati numeri verdi di Poste.it. Dopo lunghi e incomprensibili messaggi burocratici e tecnici vengo messo in contatto con l’ineffabile “assistente virtuale”. Uno spasso.

Le chiedo informazioni sulle modalità di ritiro dei pacchi. Ovviamente la voce del golem non capisce, alla fine si rassegna e mi chiede se in ogni caso mi è stata utile.

Io, per essere il più chiaro possibile, rispondo semplicemente: no.

E lei: “Scusa, non ho capito. Potresti riformulare la risposta con termini diversi o scandendo meglio le parole?”

Fine…