Il centenario della morte di Pellegrino Artusi, che cade il 30 marzo, verrà celebrato in tanti modi. Il sottoscritto e dieci amici, ad esempio, camminando per 120 km in cinque giorni, da Forlimpopoli a Firenze. Un’occasione per conoscersi, riflettere, meditare, guardarsi intorno, parlare, rievocare. In un maniera in cui non siamo più abituati.

Ipod? Se lo avessi, lo lascerei a casa. Cuffiette, auricolari, radioline? Niet! Al Pellegrinaggio Artusiano, che inizio domani con dieci compagni di avventura, non porto tecnologia. Tranne il telefono, per le emergenze, e il pc, che però rimane chiuso nel bagaglio e verrà usato solo per aggiornare giorno dopo giorno questo blog. Un libro di viaggio al seguito, da sfogliare durante le pause e la sera dopo cena, sonno permettendo. Basta.
Perchè questa lunga passeggiata, quest’itinerario che attendo di affrontare con un misto di entusiasmo (per l’idea) e di timore (per la distanza) è anche una prova. Inusuale, per me come per i tanti, quasi tutti direi, per i quali camminare è divenuta pratica rara. Soprattutto nelle lunghe distanze, negli spostamenti “veri”. Quelli che un secolo fa, al tempo dell’Artusi appunto, rappresentavano invece una pratica comune di tantissima gente. La gente che per spostarsi usava il mezzo più antico ed economico: i piedi.
Dicono che, oggi, la situazione che più mette e a rischio amicizie e matrimoni sia la convivenza in barca. Sarà. Sono ansioso di vedere come invece si svilupperà la convivenza rimanendo fianco a fianco per almeno otto ore al giorno dovendo condividere tempi, ritmi, conversazione e, la notte, le stanze. Aspettarsi, conversare, aiutarsi. Una volta è facile. Cinque volte consecutive lo è assai meno.
E attendo poi di potermi guardare intorno, osservare come si fa dal finestrino del treno, ma ad una velocità infinitamente inferiore. Paesaggi, strade, gente, boschi, case, città. Sembra strano, ma non lo si fa mai. Nemmeno uno che ha girato tanto tutto il mondo come me.
Un’esperienza nuova, insomma. Stimolante.
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