Intervista al direttore Tarek Al Awady sui drammatici eventi del giorno più caldo della rivoluzione, quando alcune persone si sono calate nell’edificio dal lucernario. Cercavano oro, hanno trovato solo legno dorato. Settanta i reperti danneggiati, una decina quelli mancanti. Racconto di una visita tra teche sfondate, soldati col mitra e un tesoro archeologico rimasto intatto. Con un appello: bloccate il mercato illegale delle antichità.

Il Museo Egizio del Cairo, che ospita la più grande collezione al mondo di reperti archeologici dell’antico Egitto (160mila esposti e 35mila nei magazzini), accoglie in media 2mila visitatori al giorno e 4mila nei periodi di massimo afflusso turistico. Il 20 febbraio, quando ha riaperto dopo la chiusura per la sommossa che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak, i biglietti staccati sono stati 87.
Noi l’abbiamo visitato sabato scorso e abbiamo contato poche decine di persone. Tutti egiziani, tranne noi del gruppo italiano e i militari dei servizi di sicurezza. Un’atmosfera strana, inedita. Come quella che regnava fuori, sospesa tra euforia e incertezza, sollievo e stranimento. Nella penombra del grande edificio semivuoto, i pugni delle statue dei faraoni sembravano stretti di rabbia. Eppure tutto aveva la patina della quiete dopo la tempesta, come il sottile velo di polvere che sembrava avvolgere ogni cosa. Qua e là, al primo piano, qualche teca vuota, qualche cristallo rotto.
Insomma un miracolo, se si pensa che lì fuori, per settimane, decine di migliaia di persone sono state protagoniste di scontri, manifestazioni, proteste. Perché l’edificio si trova sul lato nord di piazza Tahrir, l’epicentro della rivoluzione, a poche centinaia di metri da ciò che resta del palazzo del Partito Democratico, incendiato dagli insorti proprio la notte del 28 gennaio scorso. Forse la giornata più drammatica della rivoluzione e certamente la più drammatica per il museo, che nelle ore di massima concitazione ha subito l’assalto dei ladri. O di cittadini trasformati in ladri improvvisati. Le immagini della folla nel cortile e dei reperti distrutti hanno fatto il giro del mondo, facendo presagire un disastro.
I danni, invece, sono stati sì incalcolabili sotto il profilo culturale e archeologico. Ma relativi rispetto al valore di ciò che il palazzo conserva.
“Contrariamente a quello che si pensa – racconta il direttore, Tarek El Awady– le persone entrate nel museo sono state pochissime, meno di una decina. Tutto è accaduto il 28 gennaio verso le 19, mentre c’era il caos per le manifestazioni in corso e per l’incendio divampato nella sede del Partito Democratico, il partito di Mubarak, che è qui accanto. Ma gli intrusi non erano manifestanti. Erano ladri. Ladri probabilmente improvvisati, maldestri e ignoranti, invogliati dalla prospettiva di fare man bassa di metalli preziosi. Il portone era ed è sempre rimasto chiuso. Il palazzo protetto da una folla di egiziani che si è schierata a scudo proprio per difenderlo da tentativi di assalto. Per questa stessa ragione, le 15 guardie che si trovavano all’interno erano tutte in prossimità degli ingressi.
Approfittando di tutto questo, i ladri hanno scalato le mura dal retro, sul lato nord, salendo sul tetto di un magazzino e da qui su quello del museo. Hanno sfondato il lucernario e si sono calati dentro, al primo piano. Qui hanno cominciato a sfondare le teche, convinti che gli oggetti fossero d’oro. Quando hanno scoperto che erano solo di legno dorato, hanno gettato i reperti per terra, distruggendoli, oppure li hanno spezzati per vedere se contenessero qualcosa. Ne hanno preso qualcuno e si sono dati alla fuga dopo aver completamente saccheggiato la gioielleria del gift shop, a dimostrazione che cercavano gioielli e oggetti di facile smercio”.
Cosa è stato rubato?
“Una settantina di pezzi, la gran parte dei quali recuperati quasi subito. Qualcuno direttamente addosso ai ladri, uno dei quali è stato arrestato dentro l’edificio e altri sei negli immediati dintorni, mentre tre sono stati comunque identificati. Un reperto è stato ritrovato tempo dopo nella spazzatura. Un altro, il più prezioso, una rarissima statuetta del faraone Akenathon, era stato nascosto nelle mura della città vecchia. L’inventario definitivo è però ancora in corso, perché abbiamo dovuto attendere dieci giorni prima che gli studiosi, a situazione politica normalizzata, potessero accedere al museo”.
Quali pezzi già mancano con certezza?
“Alcuni ventagli, due modelli di tromba in legno dorato, una statua del re Toth e quella dello scriba di Akenathon, che nella teca era accanto a suo faraone”.
Speranze di recuperarli?
“Si tratta di reperti unici, rigorosamente catalogati e quindi non commerciabili sul normale mercato antiquario. Questo è incoraggiante. Esiste però il mercato illegale, quello di collezionisti senza scrupoli. E allora faccio un appello al mondo: le collezioni del museo egizio sono un patrimonio non solo del popolo egiziano ma dell’umanità, quindi invito chiunque a bloccare e a denunciare qualsiasi tentativo di transazione. Occorre sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale su questo punto. Sono del resto convinto che, vista la situazione generale e gli stretti controlli tuttora effettuati alle frontiere, gli oggetti rubati siano ancora in Egitto”.
Le risulta che altri musei siano stati insidiati dai ladri durante i giorni della la rivoluzione?
“No. Nessun altro museo egiziano è stato violato. Alcuni problemi ci sono stati invece ai siti archeologici. A Saqqara qualcuno ha tentato di asportare delle pietre, mentre in un magazzino hanno rubato un paio di bassorilievi. Qualche danno c’è stato anche ad Abydos.