Propaganda, carri armati e voglia di pace in piazza Tahrir, Il Cairo

Coprifuoco, scontri notturni e carri armati nella ribattezzata “piazza dei Martiri”, già Tahrir, davanti al museo egizio del Cairo. Ma secondo il ministro del turismo non succede nulla. Intanto, però, i voli dei tour operator ripartono. E per le vie della capitale la vita scorre normale, tra voglia di consumi e bisogno di stipendi. I due volti di un mutamento in corso, che passa anche attraverso la fiducia dei vacanzieri.

Il neoministro egiziano al turismo, Mounir Fakhry, che si è insediato appena qualche giorno fa, sfodera il più suadente dei sorrisi e sfida il giornalista italiano che gli chiede quale sia la situazione della sicurezza nel paese: “Scrivi quello che hai visto oggi in piazza della Rivoluzione, basterà”, dice. Traduzione: tranquillo, qui non vola una mosca.
Peccato che, oggi, nella centralissima piazza Tahrir (per ora informalmente intitolata ai martiri della rivolta e principale teatro dell’insurrezione di gennaio), i giornalisti ci abbiano messo piede per non più di mezz’ora e sempre sotto stretta sorveglianza. Peccato che non gli siano sfuggiti i pur pacifici capannelli e gli striscioni dei contestatori, nonché i segni di un lungo bivacco notturno e la fitta presenza di blindati. E peccato soprattutto che la sfida del ministro sia giunta nel momento esatto in cui le tutte agenzie battevano la notizia di nuovi scontri avvenuti ieri sera proprio lì, tra militari e dimostranti, allo scoccare del coprifuoco di mezzanotte. Peccato anche, aggiungo, che qualche ora prima i pullman che da Heliopolis trasportavano una quarantina di giornalisti e operatori turistici italiani in visita “esplorativa” al Cairo all’imbarco lungo il Nilo abbiano seguito un insolito percorso alternativo. Che, con la scusa di evitare del traffico, ha avuto tutta l’aria di voler dribblare invece certe zone calde della capitale: ad esempio piazza Tahrir dove, nel venerdì di festa, si erano riunite parecchie decine di migliaia di persone. Per festeggiare la rivoluzione, secondo le autorità. Per protestare contro il governo di transizione, secondo le voci raccolte in giro. E peccato infine che la vigenza di un coprifuoco e di un esplicito “sconsiglio” del governo italiano ai viaggi in Egitto siano la più lampante dimostrazione che, in effetti, qualcosa in sospeso c’è.
Normale, del resto, in un paese in cui da poche settimane è stato “dimissionato” un presidente-padrone al potere da trentacinque anni, come Hosni Mubarak, e in cui le redini sono state prese dall’esercito, divenuto “garante” di una transizione destinata, secondo i generali, a concludersi con le elezioni politiche di settembre e di ottobre, quest’ultime per la scelta del prossimo presidente. Il tutto mentre tre ex ministri sono in carcere ed altri sono restati saldamente al loro posto.
Sbagliato quindi far finta di nulla, fingere che tutti siano felici e che non ci siano problemi di nessun tipo.
Eppure è questo che il ministro e le massime autorità turistiche egiziane hanno cercato di fare oggi in una affollata conferenza stampa all’Hotel Intercontinental.
Tutto molto strano perché, in effetti, anche ammettendo le tensioni politiche, appare abbastanza chiaro che da queste il turista non ha nulla di concreto da temere e che il problema che da un mese in Egitto blocca l’industria del turismo è di natura prevalentemente psicologica. Un problema che si risolve ostentando senso di responsabilità e lanciando messaggi rassicuranti, non negando l’evidenza.
La verità ha insomma due volti, ambedue rispettabili, ambedue ambigui, ambedue credibili, come tante volte la realtà ci ricorda aldilà dei proclami formali. Di qua una rivoluzione che si celebra a parole come compiuta, ma che nella sostanza politica non si vede. Di là una transizione che appare non solo lunga, ma addirittura in stallo. Di qua una tensione nell’aria che si palpa e si annusa, di là una calma che non è solo apparente, ma che soprattutto verrà mantenuta ad ogni costo.
Lo sarà perché, prima ancora che di libertà e democrazia, parole buone per gli slogan ma difficili da tradurre in fatti, l’Egitto di oggi sembra aver voglia soprattutto di benessere materiale, telefonini, beni di consumo. E quindi di stipendi, meglio se più alti. Quegli stipendi che solo la ripresa economica potrà garantire, a cominciare dalla rimessa in moto della principale industria del paese, il turismo, che dà lavoro a 4 milioni di egiziani. Un’industria che nel 2010 ha portato sulle rive del Nilo 1,2 milioni di italiani (l’Italia è al quarto posto assoluto tra gli arrivi) e che nel 2011 vagheggiava di migliorare i propri record. Fino a quando la rivoluzione del 28 gennaio ha bloccato tutto: voli, prenotazioni, contratti.
Ora, faticosamente, si tenta di ripartire. Domani sono annunciati i primi voli, con prezzi stracciati: pacchetti-vacanza di una settimana a Sharm a 265 euro. Gli operatori si giustificano: dobbiamo recuperare. Gira voce, però, che l’effetto rivoluzionario abbia già comportato una crescita secca del 20% del costo del lavoro. Impensabile che presto l’aumento non si riverberi sui prezzi dei pacchetti.
Eppure, anche aldilà delle tariffe vantaggiose, per il viaggiatore l’Egitto del dopo Mubarak sembra offrire davvero una doppia opportunità: da un lato quella di respirare l’atmosfera frizzante di un momento storico irripetibile e dall’altro quella di visitare il paese in quasi solitudine, come da decenni non accadeva. Un esempio? Il 20 febbraio, primo giorno di riapertura, il museo egizio ha contato appena 87 ingressi, contro i normali 2.000. E oggi pomeriggio, nel grande piazzale di fronte alle piramidi di Giza, c’erano appena due pullman: i nostri.