Pare che il dg viola Joe Barone abbia cacciato, prima ancora che entrasse, un comune spettatore con regolare biglietto, colpevole però di essere pure un giornalista “sgradito”. Spero che, al di là delle condanne formali, la categoria voglia difendersi sul serio.
A Firenze sta facendo un certo rumore, tra i giornalisti e i tifosi, il caso del giornalista Francesco Matteini (di cui ho un’ottima opinione professionale, ma che conosco solo di vista e di cui quindi non sono amico, nè collega di testata). Che giorni fa, sebbene presentatosi munito di regolare biglietto a una partita della Fiorentina Primavera prevista al Viola Park (ossia il nuovissimo centro tecnico della società), sarebbe stato bloccato all’ingresso e cacciato con modi spicci, per non dire offensivi, dal dg Joe Barone in persona. Motivazione: “presenza non grata“. Dico “sarebbe” solo perchè non mi risulta che la Fiorentina abbia ancora diffuso una propria versione dei fatti.
Si tratta di un fatto grave che riflette la cronica ambiguità dei rapporti tra la stampa e mondo esterno.
Sul piano dialettico ne sta nascendo un preoccupante ed equivocante putiferio, probabilmente eterodiretto al fine di buttare benzina sul fuoco e stornare l’attenzione su punti irrilevanti a discapito dell’argomento centrale.
Che è il seguente: presenziando formalmente il Matteini a titolo personale, cioè con un biglietto pagato (non dunque un omaggio o un accredito stampa) e dovendo egli ancora accedere all’impianto, quindi non essendo nemmeno possibile accusarlo, giustamente o meno, di aver tenuto comportamenti inappropriati all’interno della struttura, non si poteva metterlo alla porta. Poco conta se il collega abbia in passato, ammesso che abbia, espresso critiche negative verso la società, sollevandone i malumori. Nella forma era lì come spettatore e non si è mai visto allontanare preventivamente il pubblico per prevenire eventuali fischi, i quali rientrano nel pieno diritto di chi assiste a uno spettacolo sportivo.
Male ha fatto quindi il Matteini, a prescindere dalle maniere usate (oltre al “caldo” invito ad allontanarsi, pare che Barone in persona gli abbia infilato una banconota da 50 euro in tasca), a togliere il disturbo: al posto suo, avrei chiamato i carabinieri e fatto una piazzata della Madonna reclamando il mio diritto ad entrare.
A nulla vale il ridicolo argomento che sento evocare in giro, cioè che “in casa propria ognuno fa come gli pare“: sarebbe paradossalmente stato vero se il collega avesse chiesto un accredito, questo gli fosse stato negato, come qualunque società può benissimo fare, e lui in veste professionale si fosse presentato lo stesso alla partita, già conoscendo il malanimo della società nei suoi confronti (magari però, aggiungo, ci fosse sempre qualche tensione: non se ne può più di giornalisti compiacenti a prescindere).
Ma in quanto semplice cittadino in possesso di “titolo”, come oggi si dice in legalese, nessuno poteva legittimamente impedirgli l’ingresso.
Come ho detto anche in altre sedi, però, il dibattito sulla faccenda sta deviando altrove.
Di qua si strepita contro la conculcata libertà di stampa, di là contro il presunto strapotere della “casta” ed altre simili baggianate.
Sarebbe bello se tra colleghi se ne parlasse apertamente – dell’abbaglio concettuale, intendo, secondo cui il giornalismo deve sempre transitare da canali ufficiali – anche all’assemblea convocata ad hoc per domani in Consiglio Regionale dall’Odg e dall’Assostampa.
Temo tuttavia che non succederà e che si rischi di cadere nella solita trappola di farci apparire una cupola autoreferenziale.
Perchè alla fine la verità resta una sola.
Anzi, due.
La prima è che, se si è giornalisti, lo si è sempre, a prescindere dal possesso di “pass” più o meno concessi. La seconda è che (mio antico motto, più volte messo in pratica, vedi qui) la vera libertà di stampa consiste, se del caso, anche nel pagare il biglietto, vedere in totale autonomia e poi raccontare quello che si è visto, senza condizionamenti, nè dovendo renderne conto a nessuno tranne che alla propria coscienza e al proprio editore.