C’era una volta, a chiusa dei comunicati, l’ampollosa ma inoffensiva formula della “cortese richiesta di pubblicazione”. Oggi, invece, già a fianco del titolo alcuni mettono la fastidiosa dicitura “scade”. Facendo triplo autogol.

L’ho scritto più volte: fare l’ufficio stampa è mestiere difficilissimo, arido di soddisfazioni e spesso ricco di delusioni. Un mestiere che richiede una tempra uguale, se spesso non superiore, a quella degli autoreferenzialissimi cronisti.
Tanto premesso, devo stigmatizzare una cosa che sembra impestare le abitudini di un numero sempre maggiore di colleghi dediti a quella professione: mi riferisco non all’obsoleto e ormai quasi tenero uso, legato a prassi d’altri tempi, di chiudere i comunicati stampa con la formula della “richiesta di gentile pubblicazione” o espressioni equipollenti, sintomo di una cortesia forse zuccherosa ma dopo tutto inoffensiva. Bensì a quella, molto più invasiva, di accompagnare già all’oggetto del comunicato, puntualmente riportandolo pure nell’oggetto dell’email a cui lo stesso è allegato, la dizione “scade!“.
Come dire occhio, non te la dimenticare, domani non potrai più utilizzare questa preziosa notizia (sottinteso primo: la sprechi; sottinteso secondo: “avrai un buco“), è urgente-importante-attualissima.
Ora, so bene delle talvolta insopportabili pressioni dei committenti, della necessità di avere pingui e rapide rassegne stampa e di tutte le umane conseguenze che tutto ciò implica in termini di comportamento.
Ma la cosa merita comunque un commento.
Innanzitutto è sconcertante che chi fa di mestiere questo mestiere ricordi a chi fa lo stesso mestiere che le notizie – e i comunicati che le contengono – scadono. E’ come ricordare che l’acqua bagna.
E’ poi sconcertante che, sottolineando la scadenza, si mostri di sottovalutare il fatto, implicito, che come la tua anche le altre notizie scadono. E non si capisce, quindi, perchè si dovrebbe in base a ciò dare preferenza a una anzichè a un’altra, se non in virtù dell’effettivo contenuto informativo della nota medesima.
C’è infine l’aspetto ansiogeno ed autoansiogeno della faccenda.
E’ intelligente e soprattutto proficuo trasferire sui colleghi – i quali, essendo appunto tuoi colleghi, sai benissimo come lavorano, a quali insistenze sono sottoposti, a quali regole redazionali obbediscono, a quali tempistiche rispondono – la pur comprensibile ansia di vedere pubblicati i tuoi comunicati?
Per non dire di un altro fattore che appare secondario ed è invece assai dirimente.
Una cosa è se solleciti, dicendo “scade”, le redazioni di un quotidiano, di un’agenzia, di una testata on line (che ti manderanno a quel paese per la tua pedanteria proprio perchè sottoposti essi stessi a scadenze continue e stringenti), un’altra è se usi la stessa frase rivolgendoti ai periodici: un po’ perchè per loro in fretta, nell’accezione che intendi tu, non scade praticamente nulla e massime perchè, al contrario, se mandi a un periodico una notizia in scadenza domani, questa gli arriva comunque già scaduta, visto che lì lavorano con grandi anticipi. Ma anche questa è una cosa che dovresti sapere bene. Quindi perchè mandi il comunicato che “scade” domani al trimestrale che ha chiuso il prossimo numero quattro mesi fa?
Sarebbe forse un’altra cosa se il comunicato avesse un effettivo orario di scadenza: allora ricordare al redattore che la notizia è utile se pubblicata prima di una certa ora ha un senso (tipo: se alle 17 chiudono certe strade, è ovvio che la notizia va data prima). Ma negli altri casi, cioè quelli in cui tutte le notizie di oggi domani saranno vecchie?
Insomma, a mio modestissimo parere scrivere “scade” in testa ai comunicati stampa è, salvo le eccezioni appena dette, un autogol in termini di risultato. E una non bellissima prova in termini di professionalità.
Mi spiace se ora qualche collega si risentirà. Ma non voglio offendere nessuno, voglio solo dire la mia di “utente”.
Gradite le controdeduzioni degli interessati.