Secondo certe pornostar il sesso casereccio on line è la rovina dell’industria a luci rosse e una pericolosa fucina di illusioni. Mi chiedo se non sia lo stesso per l’autogiornalismo on line.

 

Tra le infinite trasformazioni, per non dire rivoluzioni, che il web ha indotto nella società mondiale c’è stata quella di offrire a chiunque un palcoscenico gratuito su cui esibirsi o su cui pronunciarsi su praticamente qualsiasi argomento. Prima attraverso i blog, poi attraverso i social. Allo stesso modo ha consentito a chiunque di crearsi uno spazio commerciale autonomo e di liberalizzare mercati e professioni prima rigidi e regolamentati.

Non lo giudico e mi limito a prenderne atto.

Pensiamo, per restare alle cose che ci riguardano, al boom dell’editoria on line e alla lunga scia delle sue appendici, ove in pratica con uno schioccar di dita si passa o ci si illude di poter passare da autori a editori, da opinionisti a giornalisti, da pubblicitari a critici. E dove, quasi sempre, si pensa di diventare qualcos’altro anche restando ciò che si era prima. Tipo: faccio il giornalista, ma siccome mi autopubblico e di fatto sono anche editore con una mano scrivo e con un’altra incasso i soldi della pubblicità.

E’ sull’onda di quest’ambiguo entusiasmo che si è creato il mito dell’automprenditoralità su cui, senza troppo riflettere, in molti si sono riciclati e in passato anche l’OdG ha organizzato perfino corsi di formazione, tentando di farci credere che il futuro della nostra professione e della sua necessaria redditività fosse quello.

Poi ho letto sul Corriere un’intervista alle sorelle Dellai, note come le “gemelle a luci rosse”. Pornoattrici, in pratica. Le quali, tra le tante cose, cinguettano: “Ora ci siamo fatte un nome, le cose vanno a gonfie vele ma adesso le ragazze sono tantissime, vengono pagate sempre meno, sono costrette a fare quello che chiede il regista e non diventano star. OnlyFans ha distrutto tutto […], oggi le ragazze fanno tutto a livello casalingo, buttano in rete contenuti di bassa qualità e si bruciano il nome. Chi sbarca su OnlyFans vuole soldi facili e spera di essere notata. Invece nessuno ti prende perché questo sito ha bruciato il business“.

Questa storia del casereccio che rovina il business vero facendo credere di averne creato un altro mi ha fatto riflettere, perchè ci ho ritrovato tanto di ciò che accade nell’informazione on line.

Non parlo ovviamente delle versioni web delle grandi testate e neanche di quelle piccole ma consolidate, ma della galassia di testate, testatine, siti e blog più o meno giornalistici (compreso quello che state leggendo, si capisce) che intasano l’etere. E che alla fine sono inutili: non producono introiti nè professionali nè imprenditoriali, spesso fungono da sfogatoio o da palcoscenico individuale senza un reale pubblico, talvolta sono solo strumenti per garantirsi il titolo o per fare spudorate marchette. Distraggono da attività giornalistiche più serie, vere e talvolta remunerative. E anche quando funzionano, ossia fanno informazione seria, lo fanno praticamente gratis: il lettore non paga nulla, il giornalista non riscuote nulla, si limita a regalare il proprio tempo e il proprio lavoro per la gloria.

E’ una questione che Alta Fedeltà ha ben presente e sulla quale io stesso mi sono pubblicamente interrogato già tempo: fa cui prodest dedicare idee e energie a qualcosa che in sostanza è un hobby, ma che ti obbliga a un contegno professionaledi cui beneficiano solo gli altri?

Mi rendo conto che il tema e il tono siano un po’ provocatori, ma almeno discutiamone senza infingimenti.