Nel giornalismo di oggi quel cuore pulsante di verifica, valutazione, ripensamento e formazione che sarebbe la redazione di un giornale tende sempre più a mancare, indebolendo l’intera catena dell’informazione.

 

E’ opinione abbastanza comune tra la gente che i giornali siano una bacheca sulla quale chi ha le giuste entrature, e a volte pure senza, può affiggere quasi ciò che vuole.

Ovviamente è un abbaglio.

In subordine, un abbaglio altrettanto comune è che il giornalista scriva direttamente in pagina ciò che pubblica, a sua idea o capriccio, in una sorta di tubo diretto tra l’autore del pezzo e le colonne del giornale.

Invece è (o dovrebbe essere) tutto il contrario, perchè una delle fondamenta della professione e dell’editoria è quel soggetto – intermedio e intermediario al tempo stesso – chiamato redazione: struttura organizzata e gerarchica che ha non solo la funzione di dare alle notizie un ordine di importanza in sè e in relazione alle altre, ma di sottoporle a una verifica e di “passare” gli articoli, ossia rileggerli, depurandoli da sviste, errori, contraddizioni etc per poi impaginarli, titolarli, eccetera.

Non è dunque improprio, anzi mi pare correttissimo, parlare di una filiera dell’informazione che, passo dopo passo, conduce dai nudi fatti alla loro narrazione su quel supporto “naturale” che è una testata giornalistica.

Il cuore di questa filiera è appunto la redazione, organismo quasi vivente di costante confronto, aggiornamento, elaborazione, ripensamento. Maggiore è la sua efficienza, maggiore sarà l’affidabilità del pubblicato, ovvero la sua rispondenza alla verità, raccontata e descritta in modo chiaro, comprensibile, esaustivo e imparziale.

Detto così, sembra una banalità. Ma è tutto il contrario.

Conoscere il funzionamento delle redazioni dal di dentro, le loro dinamiche, le loro viscosità, anche i loro contrasti e la loro umanità, è un tassello fondamentale del bagaglio professionale di un giornalista. Tassello che, pur indispensabile, oggi è sempre più difficile da acquisire: un po’ perchè le redazioni si asciugano progressivamente e, quindi, chi scrive sui giornali ne fa sempre meno parte, essendo la maggioranza del pubblicato affidato ormai alla penna di collaboratori esterni; un po’ perchè a questi collaboratori l’accesso e quindi la familiarità con le redazioni e i redattori è, per ragioni giuslavoristiche nelle quali adesso non voglio addentrarmi, sempre più precluso. Una preclusione che ostacola anche la formazione diretta, quella trasmissione sul campo del “mestiere” che una volta era prerogativa dei più navigati e dei più anziani.

La trasformazione della redazione in una frettolosa “cucina”, intenta a sbrigare il lavoro nel modo più veloce e meno costoso possibile, ha portato dunque all’erosione dal di dentro di una delle sue funzioni più importanti, quella detta sopra di luogo di decantazione e ripensamento delle notizie e del modo di darle.

Per questo credo che nei corsi di formazione, fatalmente frequentati da un numero altissimo di giornalisti autonomi con poca o punta esperienza redazionale e senza possibilità di farne, andrebbero inserite una o più giornate di vita vissuta lì dentro: sia per capire come funziona, oggi, la brigata che cucina le notizie; sia per capire come, spesso, la troppa pressione faccia dimenticare di mettere il sale nelle pietanze o faccia metterne troppo, con le conseguenze che conosciamo; sia infine perchè, in un rapporto sempre più spersonalizzato, sapere come approcciarsi a redazione e redattori (tempi, modi, tipo di lavoro, esigenze, orari) diventa imprescindibile per chi cerca di vendere loro i propri servizi.