T’invitano con date e programmi, tu accetti, blocchi l’agenda e resti in attesa di risentirsi. Loro scompaiono, li solleciti. Riappaiono alla vigilia, ma per dire “non c’è più posto, toccava a te farti vivo“.

 

L’ho dichiarato più e più volte: fare uffici stampa e pubbliche relazioni è un’arte difficile, che richiede professionalità, esperienza e qualità organizzative non comuni. E che, pertanto, non è una professione improvvisabile.

Non mi dilungo sulla notevole diversità tra le due discipline (l’ho fatto spesso altrove) e punto casomai il dito sul fatto che tale diversità non è quasi mai colta da una larga maggioranza dei committenti dell’una o dell’altra, in generale solo desiderosi di una “pubblicità” non meglio individuata nè soppesata.

Ne consegue che oggi, soprattutto per effetto del sentito dire e della voglia di emulazione, quasi chiunque è desideroso di avere un “pr” che curi la sua “immagine“. Senza avere però la più pallida idea della cosa in cui tale lavoro consista, quali risorse assorba, che investimento e impegno richieda, che capacità implichi, chi siano i professionisti adatti alla bisogna e quali siano gli obbiettivi da raggiungere.

Quest’ultimo punto è, in particolare, dolentissimo, perchè produce di solito un doppio cortocircuito e danni ingenti: da un lato crea infatti nel committente aspettative quasi sempre impossibili da soddisfare (in assoluto e in rapporto al budget disponibile, altra questione critica) e, dall’altro, genera transumanze da un settore all’altro e torme di improvvisati che, sovente riciclandosi da mestieri diversi e vagheggiando prospettive di lucrosi incarichi, mettono a disposizione del malcapitato la pochezza delle proprie capacità.

L’aneddotica è vastissima e, sbollita la rabbia se si è vittime, anche divertente. Me ne sono occupato spesso su queste pagine, ad esempio qui.

Quella che sto per raccontare, però, non mi era ancora capitata: l’invito-non-invito.

Una circostanza in cui, cioè, un “pr” sconosciuto ti contatta, ti invita da qualche parte per conto di un cliente, insiste fortemente affinchè tu accetti, si prodiga con cortesia nell’invio di materiali e nella produzione di programmi personalizzati, fissa alberghi e date, fornisce di sè ogni recapito. Tu, colpito dalla gentilezza, accetti. E restate di risentirvi qualche settimana prima dell’appuntamento per conferme e dettagli.

Dopodichè, lui non si fa più vivo, come ti aspetteresti che facesse visto il suo ruolo.

Il tempo passa e nelle imminenze tu, ormai un po’ inquieto, mandi un paio di messaggi con richiesta di aggiornamento, che rimangono senza risposta.

Questa arriva, dopo l’ennesima sollecitazione, solo alla vigilia della trasferta per la quale tu da mesi hai condizionato agenda, lavori e spostamenti. Ed è surreale: “Non c’è più posto, dobbiamo slittare“.

Come non c’è più posto? Ma il calendario lo avevate fissato voi!

A questo punto intendiamoci bene: non è che sotto data c’è stato un imprevisto ed è andato tutto a monte. Ciò sarebbe comprensibile, i contrattempi possono capitare a tutti. Sarebbe anzi una sorta di buffa quanto giusta pena del contrappasso per il malcapitato giornalista, considerato che la categoria eccelle nella fornitura di bidoni al prossimo.

No, qui l’invitante (al quale, lo ripeto, per ovvie e sue necessità organizzative sarebbe spettato farsi vivo per primo e con ben più congruo anticipo, anche e soprattutto in caso di necessitate retromarce) scompare e solo dopo mio sollecito riappare il giorno prima per dire che non c’è più posto. Da non credere. Gli ho risposto che, almeno nel momento in cui si verificava il sold-out, sarebbe bastato dirlo: non avrebbero comunque fatto un figurone, visto che era stato tutto già stabilito (da loro, oltretutto), ma almeno non avrebbero lasciato a piedi un ospite che non si era autoinvitato, ma avevano invitato sempre loro e alle loro condizioni.

Ricordate la massima? “Non capirai mai il valore di un professionista finchè non dovrai pagare i danni procurati da un dilettante.

Questo post è dedicato ai tanti colleghi e non che, nella giungla professionale, fanno bene e con coscienza il proprio lavoro.