Giovanni Cencetti è mancato ieri a quasi 92 anni. Non lo vedevo da tempo, ma è stato un amico, un collega, un mentore e soprattutto uno a cui devo moltissimo di ciò che so e che sono oggi. Lo ringrazio pubblicamente.

 

Non mi ricordo di preciso come e dove ci conoscemmo, ma fu nel 1987.

So solo che io ero alle prime armi (avevo cominciato da poco a collaborare col Giornale di Montanelli) e che bazzicavo per archivi senesi in cerca di notizie su varie anticaglie architettoniche, mentre lui era il responsabile della redazione locale di Toscana Oggi, il settimanale della curia. Era anche un personaggio di spicco della DC provinciale. Una cosa forse ovvia, che però scoprii poi.

Ci presentammo, mi disse che anche lui era giornalista. Lo era molto più di me, ad essere sinceri.

Capì subito che ero estraneo alla politica e che non mi interessava farmene coinvolgere. Capì anche, altrettanto subito, che non ero un elettore del suo partito, ma neppure di quello egemone, che tra diffidenza e ostilità mi teneva alla larga, nè di altri.

Forte di quest’intuizione, di cui gli sarò sempre grato, mi chiese di fare qualcosa che era perfettamente nelle mie corde, era utile a lui e non contemplava sbilanciamenti: una serie di reportage sulle antiche chiese perdute o dimenticate del territorio.

Fu una scuola determinante sotto il profilo professionale: potei esercitarmi sul campo (letteralmente), setacciando notizie, cercando testimonianze dirette, esplorando capillarmente i luoghi, divorando mappe, cartine, documenti. A piedi, si capisce. Imparai a perlustrare la campagna, a inseguire le piste, a risalire alle fonti e a confrontarle. Un patrimonio di nozioni di cui beneficio ancora e che ho messo a frutto per decenni, battendo i luoghi più remoti e negletti del mondo.

Lui ebbe sempre parole di grande elogio e di incoraggiamento. Diventammo amici, con reciproca stima.

Passò qualche anno e il lavoro mi portò altrove, ci perdemmo un po’ di vista. Ma quando ci ritrovammo lui, con mia enorme sorpesa e un certo compiacimento, mi dimostrò di seguire il mio percorso e di conoscere quello che facevo. Eravamo a Radicondoli. Mi regalò un suo libro (era anche storico, appassionato della sua Valdelsa) con una dedica da cui affiorava una tale considerazione verso la mia persona che mi trovai in bilico tra la commozione e l’imbarazzo.

Ci perdemmo ancora, senza però dimenticarsi. Lui sapeva della mia gratitudine. Lo invitai alle mie nozze, purtroppo era malato e non potè venire.

Non ci siamo più visti, eppure ciclicamente ho ripensato a quei tempi e all’importanza dell’opportunità che lui mi offrì, con tutto ciò che ne è conseguito.

Apprendo ora, con rincrescimento enorme, che Giovanni Cencetti è mancato.

Per nessun motivo potrò mai espungerlo dall’elenco degli amici, ma adesso posso metterlo ufficialmente in quello dei miei maestri, accanto a Indro Montanelli e a Giorgio Batini.