di GIUSEPPE LO RUSSO
Se per Calvino la conoscenza d’un luogo implica “… inghiottire il paese visitato, nella sua fauna e flora e nella sua cultura, facendolo passare per le labbra e l’esofago”, beh, allora il nostro Sannio Experience Tour è stato molto calviniano.

 

Come potremmo definire il nostro recente “Sannio Experience Tour”, se non evocando il famoso cambio di nome del capoluogo, da Maleventum (cattivo augurio) a Benevento e quindi parlando di felice evento?

Tutto è stato possibile grazie al Sannio Consorzio Tutela Vini.

S’è dunque parlato di vino, ma non solo in realtà.

Perché, come diceva Calvino in “Sotto il sole giaguaro, il vero viaggio, la conoscenza di un paese implicano […] “un cambiamento totale dell’alimentazione, un inghiottire il paese visitato, nella sua fauna e flora e nella sua cultura […], facendolo passare per le labbra e l’esofago”.

Se allora l’unico modo autentico di “far proprio” un paese è d’inghiottirlo, cosa inghiottire del paese che si visita se non i suoi prodotti e i suoi piatti tipici, calandosi nei comportamenti e nelle abitudini dei suoi abitanti?

A questo devono essersi ispirati gli organizzatori.

L’esperienza è iniziata ovviamente col capoluogo, dove siamo stati introdotti al culto della dea Iside, testimoniato dai due obelischi egizi, delle ianare, le streghe del leggendario noce di Benevento, e del ricco patrimonio storico e artistico del Sannio.

Oltre all’Arco di Traiano, che celebra il rinnovato tracciato della Via Appia, e ai resti imponenti del teatro romano, si leggono ancora tracce del succedersi di Sanniti, Romani e Longobardi, prima che Benevento diventasse un’enclave pontificia nel Regno di Napoli.

Cicerone, in questo percorso, l’infaticabile cultore di storia locale Mario Collarile, accompagnato da un complesso etnomusicale dall’aria brigantesca, “Fusione”, in armonico contrasto con le eleganti coreografie delle giovani ballerine del Centro Studi Carmen Castiello.

La magia – è il caso di dirlo in un paese di streghe! – di questa narrazione ha contribuito assai al profitto della nostra presenza, quello di conoscere i vini e i prodotti del Beneventano.

Ecco qualche numero a riguardo.

Il vigneto Sannio ha la leadership campana con 10.000 ettari vitati, 8000 imprese e 100 aziende imbottigliatrici, tre D.O., una IGP e più di 60 tipologie di vino. In questo quadro, il Consorzio, nato nel 1999 e riconosciuto nel 2005 ha oggi 1300 soci diretti, trattando la doc Falanghina, la docg Aglianico del Taburno e l’IGP Beneventano.

Di Falanghina 2022 e di Aglianico, nella versione rosato 2022 e riserva 2019, abbiamo avuto modo di fare un pieno apprezzamento con la degustazione tenutasi a Guardia Sanframondi nella Cantina Sociale “La Guardiense”, costituita nel 1960 da “33 soci lungimiranti e coraggiosi”.

Ma torniamo alla cronaca.

Prima tappa Pietraroja, un piccolo borgo alle pendici del Matese, a confine col Molise, che per una lunga storia di emigrazione conta oggi appena 501 abitanti. La storia di Pietraroja, pietra rossa o pietra rotolante secondo Strabone, è assai antica: lo documenta il museo Interattivo Paleo-Lab, dove sono esposti i resti fossili, vecchi 110 milioni di anni, rinvenuti nell’odierno Parco Geopaleontologico, dove il paese ha le sue fondamenta. Qui riscuote grande interesse lo Scipionyx Samniticus, un cucciolo di dinosauro perfettamente conservato.

Pietraroja riserva però anche altre sorprese: i “carrati”, ad esempio, pasta all’uovo lavorata al ferretto, gustata sia col ragù che con una Genovese di pecora, memoria della transumanza delle greggi dall’Abruzzo al Salento. La tradizione dell’allevamento del maiale è invece portata avanti da Emilio Di Biase nel suo prosciuttificio artigianale da appena 400 prosciutti l’anno. “Soli ingredienti, il sale e l’aria”, garantisce.

In campagna incontriamo invece Giuliano Maturo e la sua compagna Maria Di Biase, del caseificio MarcAntonio. Dal latte di 60 vacche di Pezzata rossa, lavorato a mano con siero innesto, ecco il fiordilatte, il caciocavallo, ricotta delicatissima di solo siero e uno straordinario pecorino ricavato da animali a brado. Giuliano rivendica con orgoglio di discendere da una famiglia di pastori transumanti e di averne ereditato le antiche pratiche casearie. Agli usi contadini era ispirato pure un pane variamente ripieno che ci aspettava all’Antica Trattoria Masella di Cusano Mutri. Il pane, ci spiegano, era usato come contenitore del pranzo di chi passava nei campi.

La tappa di Sant’Agata ci ha portato nella culla della Falanghina, ovvero il palazzo della famiglia Mustilli, dove nel 1979 Leonardo Mustilli, fondatore del Consorzio Sannio, imbottigliò per primo il vino ottenuto da un vitigno che, seppure presente ab antiquo sul territorio, non era mai stato vinificato col suo nome.

Di Falanghina e di Falerno, quest’ultimo elogiato da poeti latini quali Orazio, Marziale e Persio, per citarne alcuni, abbiamo avuto modo di parlare con Pasquale Carlo, responsabile della Sannio Academy, che affianca il Consorzio nella promozione delle risorse agroalimentari del territorio. Grande il fascino esercitato dalle storiche cantine che si spingono fino a 16 metri sotto il livello stradale. A guidarci nella visita e nella successiva degustazione è stata Anna Chiara Mustilli, che con la sorella Paola ha preso la gestione dell’impresa nel 2017.

La giornata successiva si è aperta con l’impegnativa degustazione di 50 vini, di cui abbiamo detto, a Guardia Sanframondi. Il pranzo alle Terme di Telese ha previsto varie versioni di pizza, ma con una particolarità: l’acqua dell’impasto era quella termale, ossia sulfurea!

E qui vogliamo citare una bella esperienza che dimostra come la continuità della tradizione necessiti di un’innovazione condivisa. E’ ciò che fa Angelo Cotti del Globe Cafè wine-cocktail di Torrecuso, miscelando Falanghina o Aglianico rosato e rosso con ginger, lime e zenzero, liquore Strega o liquore di mela annurca e rum. Nascono così il Mojito Sannio, nella versione bianco e rosso, la Rosa Nurca, il Giallo Janara e il Cappuccetto rosso con Aglianico rosato. “L’idea – dice Cotti – è promuovere i nostri vini autoctoni attraverso la mixologia”.

A Montesarchio, l’antica Claudium dei Sanniti, abbiamo visitato il castello e la torre, col Museo Archeologico del Sannio Claudino. Tutt’intorno un paesaggio spettacolare sullo sfondo delle celebri Forche Caudine. Del ricco patrimonio museale, ricordiamo qui la sfinge marmorea, dell’epoca del passaggio dalla dominazione sannitica a quella romana, e il vaso d’Europa, un cratere attribuito al ceramografo Assteas (IV a.C.), celebrato come “il più bello del mondo”. Un museo che vale davvero una visita. E fa quindi riflettere la scarsa attenzione delle istituzioni per la cultura se, per la pubblicazione del pieghevole illustrativo, è stata necessario ricorrere alla sponsorizzazione di una pizzeria.

All’uscita ci attende Fortunato Votino, vitivinicoltore di Bonea, piccolo comune ai piedi del monte Taburno. Tocca a lui accompagnarci nelle sue vigne, che sfiorano il secolo di vita. Oltre alla Falanghina e all’Aglianico del Taburno, l’azienda produce un Fiano e un Piedirosso: con risultati, ma questo lo diciamo noi, eccellenti, grappa di Falanghina compresa.

Cena finale all’ottima “Locanda della Luna”, in cui nome deriva però non dall’astro d’argento ma dal nome dei proprietari: Daniele LUongo e Tersa NArdone. Abbiamo molto apprezzato la cucina ma non abbiamo avuto modo di approfondire la loro conoscenza. Ci torneremo, però! Come torneremo nel Sannio.