La Raggi va assolta e parte il rancore strabico dei 5 Stelle contro i giornalisti. I quali però, anzichè cogliere l’ennesima occasione per fare pulizia in casa propria, riallineando la teoria e la pratica della professione, s’indignano pur sapendo che i politici – tutti – qualche ragione ce l’hanno.

 

C’è solo una categoria di persone che trovo più insopportabile di quelle che cascano dal pero: quelle che fingono di caderci.
E, in queste ore di roventi polemiche dopo le affermazioni dei 5 Stelle contro i giornalisti, di finti tonti col tesserino rosso siamo letteralmente circondati. Da qui il mio nervosismo.
Ho un vissuto personale e professionale che mi allontana automaticamente da sospetti di simpatie pentastellate, quindi non posso essere accusato di fare difese d’ufficio.

Quindi vi chiedo: cari colleghi, sì, proprio voi (certo non tutti, ma tanti), che militate da sempre in giornali anch’essi militanti e che magari siete entrati nella professione da militanti, per dare più voce e farvi strumento non della verità dei fatti ma delle vostre idee politiche, voi che cavalcate i teoremi ma solo se funzionali alla missione perseguita e chiudete ambedue gli occhi nel caso opposto, voi che pure sui social non fate mistero della vostra partigianeria chiosando post apertamente faziosi, ma non vi sentite ridicoli, o non vi vergognate un po’, a tracimare di tutta quest’indignazione o a simularla se ci danno (e sottolineo ci) di puttane?
No, perchè nemmeno a me fa piacere sentirmi dare di puttana e di sicuro non mi sento tale.

Ma, primo, se pur non condividendone il mestiere abito promiscuamente in un bordello con altre signorine, non è poi così strano che qualcuno pensi che faccio anch’io il mestiere più antico del mondo.

E poi, secondo, oltre a chi lo potrebbe pensare, ci sono anche i molti clienti abituali, cioè i politici, i loro tirapiedi e i loro editori di riferimento, che in attesa della marchetta chiacchierano e fumano tra sè, tutti conoscendosi bene l’un l’altro e frequentando coi medesimi scopi la stessa casa di piacere, forse perfino le stesse ragazze. Dunque anche tra loro che differenza c’è? Tutti puttanieri sono. Ed è ridicolo, oltre che avvilente, che poi si accusino reciprocamente.
Insomma la differenza è tra chi si prostituisce e chi no, tra chi va al bordello e chi no. Il resto è fuffa di maniera, pura ipocrisia e conformismo, mi spiace dirlo, corporativo.
Fuori metafora, la differenza è tra chi fa il giornalista-militante, anzi viceversa, e chi fa il giornalista-giornalista, tenendo a freno le proprie idee a favore di professionalità, correttezza, onestà intellettuale, ricerca della verità dei fatti.
La storia italiana degli ultimi trent’anni è costellata di processi mediatici, di linciaggi a mezzo stampa, di campagne giornalistico-elettorali, di teoremi e di inchieste a orologeria, per non parlare di usi scorretti di fonti e notizie, nella stragrande maggioranza dei casi risoltisi con assoluzioni e il comprensibile risentimento, politico e non, degli assolti.

Ora tocca ai 5 Stelle. Volgari quanto vogliamo, opportunisti ovviamente (ma la politica è questa), strabici nel vedere solo una parte della verità. Ma l’altra metà che vedono, la vedono benissimo. Siamo noi giornalisti che ci ostiniamo a non vederla o a non volerla vedere.

Dopo la buffonata dell’Ordine sì e dell’Ordine no, dell’Ordine del Giornalismo, delle minacce di abolizione di Crimi (e quelle a suo tempo di Renzi, di cui quasi tutti guarda caso paiono essersi dimenticati), dell’equo compenso e di tutte le altre catastrofi che costellano (pentastellano?) il passato recente di una professione allo sbando di cui il patetico sindacato è lo specchio più squallido e fedele, ecco che le circostanze contingenti ci offorno un’altra occasione ghiottissima per aprire finalmente una riflessione seria e profonda all’interno della categoria. Per dare il via, nell’impossibilità di farne una legale vera, almeno a una riforma morale, a un riallineamento tra pratica e teoria del giornalismo, a un colpo di reni che restituisca dignità e credibilità a tutti noi, mettendo da parte l’uso militante dell’informazione.

Magari succedesse.

Invece, a giudicare dalle reazioni che leggo e vedo, è tutto un conformismo e un fintotontismo.

Facile, giusto e ovvio difendere la libertà di stampa. Basta che sia tutta, non solo quella che ci fa comodo e quando ci fa comodo.

Mai visto un giornalista indignarsi per le fregnacce scritte da un collega che non fosse anche un avversario politico e/o di una testata “nemica”, non si è mai visto l’ora indignatissimo Ordine (quello prima manovrato dalle correnti e ora da una maggioranza bulgara che pensa di rimediare alla crisi della professione cambiando una vocale del proprio nome) intervenire in profondità nel sistema, al cospetto di un problema chiaramente generale, se non con provvedimenti individuali e spesso nemmeno con quelli, che in nulla possono mutare l’andazzo collettivo. La politicizzazione e la strumentalità della stampa sembrano oramai, più che tollerate, accettate. E questo non è compatibile con la natura del nostro lavoro.

Ecco, quindi: se una forza politica, qualunque essa sia, mi dà di giornalista-puttana vorrei potermi incazzare e ribellarmi davvero.

Invece, per le ragioni dette sopra, non posso del tutto e questo mi fa schiumare di rabbia. Perchè vuol dire che un po’ di ragione pure loro ce l’hanno.