Se un ladro affiggesse sui muri, con nome e cognome, una foto di sè mentre ruba, parrebbe normale che nessuno lo denunciasse? Eppure è ciò che nel nostro mestiere accade ormai ogni giorno.

 

Qualcuno dirà che bisogna rassegnarsi.

O che, ovvio, “la professione è cambiata“.

Giorni fa però ho intercettato – non solo nell’universo mondo del web, ove ormai tutto pare sia lecito o quasi, bensì pure nel più cauto mondo della carta stampata – un paio di riviste sedicenti specializzate.

Specializzate innanzitutto in marchette direi, a giudicare dai contenuti.

Ma non è questo il grave.

E’ grave, eppure non ancora gravissimo, che casomai vengano lì ostentati pomposi colophon con foto, generalità e qualifica di “giornalista” di capi, vicecapi, centrali, coordinatori, redattori dei quali, però, su dodici dei quindici casi da me censiti, nessuno risulta iscritto all’OdG. Mentre un altro paio sono, diciamo così, per essere benevoli, di fresca nomina.

La cosa più grave di tutte è invece che basta scorrere quei nomi per individuarvi subito un’infinità di conclamati venditori di pubblicità, titolari di uffici di pr, mediatori commerciali di varia natura. Ossia gente che non solo giornalista non è, ma giornalista non fa e anzi svolge un’attività incompatibile col giornalismo. Alcuni sono gli stessi che, scopo mercimonio, ritrovi poi a manifestazioni e a conferenze stampa e che non esitano a chiamarti o ad atteggiarsi da “colleghi” (in proposito vedasi in recente appello di Aset per il rilascio di accrediti con la dicitura “stampa” solo agli iscritti all’OdG).

Ora, voi mettetevi nei panni del paziente e immaginate di leggere, sul portone di un reparto ospedaliero, un organigramma in cui non soltanto il primario, nè il suo vice, nè gli aiuti e neppure i tirocinanti sono medici, ma spesso svolgono mestieri in aperto conflitto con quello di medico: commercianti di medicali o di farmaci, produttori di creme miracolose, guaritori, santoni.

Sarebbe una cosa giustamente giudicata intollerabile e che solleverebbe un polverone.

Eppure nel mondo dell’informazione questo succede, papale papale. E pare non turbare nessuno.

Ora, io sono un uomo di mondo e capisco tutto. Perfino la necessità o l’opportunità di mostrare a volte una certa accondiscendenza e anche l’imbarazzo, la reticenza o la renitenza che può avere il cittadino a denunciare gli illeciti del vicino di casa.

Ma nel momento in cui è lo stesso ladro delle biciclette a pubblicare un tazebao con autoritratto in cui confessa di essere lui il ladro delle biciclette medesime, forse il gendarme non dovrebbe intervenire o almeno indagare? E magari cominciare a guardarsi intorno per vedere se in giro si trovano consimili tazebao confessori? O, ancora, sfogliarne a campione un po’ ogni tanto e fare qualche verifica?

Non mi pare difficile. Eppure non accade.