Contratto fermo da un anno, delibera Fnsi sui freelance da due (e rifatta a delibere del 2011 e 2007), equo compenso da quattro e con la caduta di Renzi si slitterà ancora. Difficile credere che una “conferenza organizzativa” sul tema potrebbe oggi portare a qualcosa. Anche perchè, nelle more, il mestiere è morto.

 

Maurizio Bekar è un bravo collega giornasindacalista triestino, coordinatore della Commissione nazionale lavoro autonomo (detta, ma senza ironie, Clan) del sindacato dei giornalisti.
Riconosco a Bekar molte qualità. Tra queste, quella che più ammiro è la pazienza – sebbene sia una pazienza che, come spesso gli ho detto, sfiora in certi casi la cecità – nei confronti delle prese in giro alle quali la Fnsi, detta (stavolta ironicamente) Fnsieg per l’efficacia e la trasparenza dell’azione verso la controparte datoriale, lo sottopone suo malgrado.
In apparenza io e Maurizio,  sindacalmente parlando, non concordiamo insomma quasi su nulla. In sostanza, invece, ci troviamo spesso d’accordo. Inoltre ci stimiamo e in fondo ci stiamo pure simpatici. Così lui sopporta le mie punzecchiature e io le sue.
Comunque stia tranquillo: quello che sto scrivendo prende sì spunto da una sua riflessione, ma non ha lui come bersaglio.
Succede infatti che Bekar, cui va senza dubbio riconosciuta anche la costanza, giorni fa pubblica su FB e altri portali una serie di teoricamente condivisibili considerazioni intitolate “Ora è il tempo degli autonomi (nel senso di giornalisti, ndr). Note per un dibattito“. Chi vuole, può leggersela per intero qui.
Io invece riporto solo l’incipit, che è quello che poi contiene il nocciolo del discorso.
Ora è il tempo degli autonomi. Perché oramai oltre il 62% dei giornalisti attivi lo sono, con una percentuale da anni in crescita. E perché spesso ricoprono ruoli strutturali e strategici nel sistema dell’informazione. A fronte di una costante riduzione del lavoro dipendente. Si tratta di un tema sul quale è necessario sviluppare un confronto approfondito, perché i suoi presupposti culturali, e le politiche conseguenti, non sono affatto scontate. Anche per questo è urgente convocare la “Conferenza organizzativa della Fnsi sulle problematiche del lavoro autonomo e della precarietà”, approvata nel 2015 dal Congresso di Chianciano, per “viluppare un ampio confronto su quanto finora prodotto a livello nazionale e locale, su nuove proposte e per elaborare una piattaforma operativa aggiornata sul tema. Queste note vogliono essere un contributo di riflessione aperta, e di dibattito in tale direzione“. Segue enumerazione e argomentazione dei soliti temi.
Sempre su FB, pochi giorni orsono un altro collega, Fabrizio Morviducci, ricordava poi come, agli sgoccioli del 2012, veniva promulgata la legge sull’equo compenso del lavoro giornalistico. Una legge che però, grazie al prezioso contributo sindacale e governativo, deve ancora trovare concreta applicazione: con la caduta del governo Renzi, tra l’altro, cade anche il sottosegretario con delega all’editoria Luca Lotti, che aveva in mano il pallino delle (lente) operazioni. Quindi le calende si allungano ulteriormente.
E con esse anche i venti di riforma della legge professionale del 1963, che pareva una cosa primaverile.
Mentre il nuovo contratto dei giornalisti, dopo che il vecchio è stato disdetto oltre un anno fa dagli editori, continua a navigare  in acque che definirei, più che altomarine, oceaniche.
Allora mi sono messo a fare due conti cronologici: la legge sull’equo compenso sta per compiere i quattro anni di vita e stanno per scoccarne due dalla delibera congressuale dell’Fnsi che a Chianciano, tra applausi scroscianti, solennemente stabilì di convocare al più presto una conferenza sul lavoro autonomo (giova in proposito ricordare che quanto statuito nel 2015 richiamava cose già deliberate durante il congresso del 2011 il quale, si capisce, si richiamava a sua volta a un deliberato congressuale del 2007. La memoria non mi aiuta, ma non escludo ulteriori richiami alle più remote assise del 2004 e del 2001).
Nel frattempo di tutte queste more, ovviamente, la già rantolante libera professione giornalistica è però bella che morta, stecchita, sepolta, putrefatta e dimenticata. Una cosa evidente, sotto gli occhi di tutti.
Dunque, caro Maurizio ti chiedo: siamo sicuri che “il tempo degli autonomi” sia ora?
Forse, era.
Anzi fu.