La professione è in crisi e l’OdG toscano organizza un corso di “autoimprenditoria giornalistica“. Ma lo sdoppiamento non genera il rischio di un conflitto di interessi incompatibile col nostro mestiere?

 

Non per fare quello che “io l’avevo detto“, ma siccome scripta manent nessuno potrà affermare che, quasi dieci anni fa, non avessi visto giusto (qui) quando mi facevo delle domande sull’allora nouvelle vague (oggi si direbbe, ahinoi, “modello di business“) del futuro della professione giornalistica, ovverosia la cosiddetta autoimprenditoria.

Prospettiva alla quale l’Odg della Toscana dedica questo mese e il prossimo un interessante corso formativo in cinque lezioni (info qui) andato sold out in pochi giorni.

Tutto è, almeno in apparenza, comprensibile e giusto: da un lato è infatti naturale che l’ordine assecondi la fame di lavoro dei giornalisti e quindi provi a far luce su tutte le possibili vie di sbocco, dall’altro è anche inevitabile che in una professione in cui il 70% degli iscritti è “autonomo” (sinonimo quasi sempre di semidisoccupato, sottopagato, precario etc), tutti, nella speranza di trovare un reddito, si buttino nel miraggio di una soluzione forse e a volte troppo ottimisticamente legata al mito del “mettersi in proprio“.

Se ciò, sotto il profilo logico e sociologico, non fa una piega, ne fa però parecchie sotto il profilo professionale e deontologico.

Innanzitutto capiamoci: con “mettersi in proprio” nello specifico non si intende aprire un negozio di abbigliamento, una ditta di idraulica o un’officina per produrre tondini di ferro. In tal caso non ci sarebbe certamente bisogno di una corso ad hoc per giornalisti. Si intende invece, appunto, diventare autoimprenditori, cioè esercitare l’attività giornalistica non in forma professionale, bensì di impresa. Tradotto: diventare editori, di se stessi o di altri. Ritradotto: autopubblicarsi con finalità di profitto.

Già, perchè devono essere chiari altri due punti preventivi: primo, se uno è “autonomo”, in proprio ci è già e, secondo, il giornalista, assunto o meno che sia, è per definizione pagato da un editore.

Pagato, si capisce, per scrivere quello che, e nei modi in cui, la deontologia dettata dall’Ordine professionale di appartenenza gli impone, quindi la verità attraverso notizie imparziali e verificate.

Insomma spetta al giornalista fare informazione (pagato appunto dall’editore) e all’editore (che paga il giornalista), trarre un profitto dall’attività imprenditoriale attraverso la vendita dei giornali, di redazionali, di pubblicità, di servizi, etc.

Si tratta, con ogni evidenza, di due lavori diversi, e per certi versi opposti, regolamentati non a caso da norme e funzioni diverse, a loro volta per certi versi contrapposte.

Ed eccoci all’acqua: nel momento in cui il giornalista diventa, o gli si consente di diventare, (auto)imprenditore – ovverosia non solo di svolgere contemporaneamente, ma di far coincidere il mestiere di imprenditore e quello di giornalista – la sua figura si opacizza e i due profili si confondono. In nome di quale delle sue attività egli opera di volta in volta? Dov’è il confine, diritti e doveri compresi, tra le due?

Facciamo un esempio: se sono pubblicista, posso ovviamente svolgere anche un’altra attività oltre a quella di giornalista e certamente posso anche aprire una mia testata, ma di sicuro non per scrivere articoli compiacenti a pagamento per conto di committenti e inserzionisti, con la scusa che lo faccio come editore e non come iscritto all’OdG.

Se poi sono professionista, a norma di legge un altro lavoro non lo posso proprio fare ma gestire un’impresa è, a quanto mi risulta, un altro lavoro a tutti gli effetti.

In definitiva, come si può essere controparti di se stessi? Una, e quale, dev’essere prevalente sull’altra?

E poi il reddito del giornalista-autoimprenditore da cosa deriva, che natura ha? Può e deve esso derivare dall’attività giornalistica, da quella imprenditoriale, o da tutte e due indifferentemente? In altre parole, si può essere al tempo stesso editori e giornalisti? In altri termini ancora, si può praticare – come è inevitabile – una doppia morale secondo la quale ti è lecito fare con la destra, ovvero da imprenditore (ad esempio pubblicità, occulta o meno, fake news, financo marchette, etc) ciò che non ti è lecito fare con la sinistra, cioè da giornalista, e mantenere comunque lo status professionale di iscritto all’albo? Più esplicitamente ancora: questa convivenza di figure e funzioni non rischia di dar vita a un palese conflitto di interessi? E’ ammissibile l’esistenza di giornalisti-editori, giornalisti-influencer, giornalisti-testimonial, giornalisti-venditori, giornalisti recensori di se stessi?

Ne nascono altri dubbi: il giornalista-giornalista come deve rapportarsi col giornalista-imprenditore? Le due figure devono reciprocamente considerarsi colleghi o di nuovo controparti? Il giornalista-autoimprenditore che si comporti scorrettamente col collaboratore-collega (ad esempio non lo paghi, come fanno gli editori-editori) a quali diritti/doveri è soggetto? A chi ne risponde?

Se questi interrogativi fossero stati l’oggetto del corso in parola sarei stato a dir poco entusiasta dell’iniziativa, perchè si tratta a mio giudizio di questioni fondamentali da risolvere al più presto per chiarire il quadro e garantire la sopravvivenza stessa della professione, nonchè della categoria giornalistica.

Stando però al programma, almeno quello pubblicato sul portale Sigef (testualmente: “argomenti trattati nelle 5 giornate: 1)mettersi in proprio 2) testimonianza d’impresa con particolare riferimento all’editoria 3) redazione business plan e agevolazioni 4) gli strumenti digitali a disposizione dell’azienda e la tutela del brand/tutela proprietà industriale 5) come parlare agli imprenditori e ascoltare il mondo delle imprese”), pare che i quesiti preliminari di fondo siano stati con disinvoltura già bypassati e che si sia giunti a ritenere aprioristicamente ammissibile la “autoimprenditorialità” del giornalista, senza farsi nessuno degli scrupoli elencati sopra.

Il che mi lascia a dir poco dubbioso e pure parecchio inquieto.

In attesa di partecipare alle sedute, mi piacerebbe intanto sapere cosa ne pensano i colleghi e quale sia nello specifico la posizione dell’Odg, il quale – presumo – prima di licenziare il corso qualcuna delle domande che ho fatto anch’io se la sarà posta.