Il leggendario chitarrista inglese, fondatore dei Pentangle e molto altro, è morto oggi a Londra, improvvisamente. Ha raggiunto il compare Bert Jansch nelle parti alte delle British Isles. Un altro cristallo va in pezzi.

Soundtrack: “Lord Franklin“, da “Cruel Sister”, Pentangle, 1970

Per una notte nessuno ha saputo dove fosse. L’aspettavano per un concerto, non si è presentato. Per una notte ha fatto come il Lord Franklin della canzone, sparito tra i ghiacci alla ricerca del passaggio a Nord-Ovest. Poi l’hanno trovato a casa. Morto.
E’ scomparso così, ieri, John Renbourn. Chitarrista straordinario, mito schivo e bonario.
Me lo sono perso a Firenze pochi mesi fa, accidenti a me e alle mie stupide priorità di lavoro.
Suonava in un piccolo club e gli amici che lo hanno ascoltato mi hanno detto che era stato grandioso.
Come sempre. Come quella prima volta al Teatro Tenda nel ’79 con Stefan Grossman e coi riformati Pentangle qualche anno dopo.
La sua dipartita è una vertigine.
Renbourn era tante cose. Ad esempio un musicista di eccezionale sensibilità e talento. Un protagonista del folk revival inglese. Uno dei fondatori, con il compianto Bert Jansch (qui la mia elegia), degli inarrivabili Pentangle. Per me però era innanzitutto la voce e la chitarra di Lord Franklin, il brano che più ho amato del disco dei Pentangle che più ho amato, Cruel Sister.
In altri tempi, come accadde nella notte di dicembre che uccisero John Lennon, avrei passato le ore trasmettendo per radio la sua discografia completa, senza interruzioni nè parole. Per far parlare la musica.
Ora non posso far altro che celebrarlo qui.
Sono certo che in tanti mi capiranno.