Il linguaggio formulare impippiato nella gente da social e talk show crea nuovi mostri: ora si abusa delle “fonti“, clava dialettica usata nelle risse verbali per tacitare l’interlocutore. L’effetto sull’informazione è tragicomico.

 

Ci sono un sacco di analfabeti di ritorno per i quali, fino a poco tempo fa, le fonti erano quei luoghi dove si attingeva l’acqua o si andavano a lavare i panni. Al massimo lavatoi monumentali, dove da ragazzetti ci si dava appuntamento per svoltare il pomeriggio: “Ci vediamo dopo alle fonti…“.

Ma siccome gutta cavat lapidem, la scolarizzazione di massa dà illusione di sapienza e il bombardamento mediatico, tipo il cicaleccio televisivo peribellico, qualche effetto lo producono, di colpo qualcuno ha scoperto che per fonti si possono intendere anche altre cose figurate: le fonti del diritto, o le fonti delle informazioni per gli storici, gli scienziati e, ovviamente, i giornalisti.

L’argomento è complesso, quindi. Ma i tizi de quo ne ignorano le sottigliezze e i distinguo.

Venire a conoscenza dei “nuovi” significati del termine ha perciò avuto su di loro effetti detonanti, talvolta addirittura euforizzanti. “Fonti” è infatti non solo parola aulica, l’uso della quale si pensa possa incutere rispetto e conferire autorevolezza, ma è termine che riempie la bocca: evocarla, perciò, è anche l’argomento ideale per tacitare l’interlocutore, calare l’asso di briscola, ammutolire gli antagonisti durante le discussioni serie, che contano per davvero. Cioè quelle sui social.

E allora, via con le intimazioni!

Zia Giulietta pubblica su FB una ricetta della crostata che non vi garba? Non c’è accordo sull’aggiunta dell’alchermes nella zuppa inglese? Non si perda tempo a cianciare. Basta tuonare, ben protetti dalla tastiera: “Fuori le fonti!“. E sarà un effluvio di Manuali di Nonna Papera, di Ricettari di Suor Germana, di calendari di Frate Indovino. Se, sovrappensiero, uno sciocchino si azzarda a scrivere su FB qualcosa di semplice, tipo “qui piove“, apriti cielo (appunto): quello che abita in un quartiere vicino, dove però non cade una goccia, subito lo sfida e lo fulmina con un carico da undici: “Da quali fonti hai preso questa informazione?“. Inutile che il poveretto spieghi che è sul balcone e si sta bagnando, il meterologo-social accetta solo prove scritte a sostegno delle altrui affermazioni, sennò bolla tutti come non credibili.

Sotto il colpi delle fonti soccombe pure l’evidenza.

Di selezione e di gerarchia delle medesime, come detto, ovviamente il fanatico non parla. Anzi, non coglie. Troppo complicato. Di conseguenza, citare la fonte consiste semplicemente nel trovare qualcuno che, a prescindere da tempi, luoghi e competenze, abbia affermato o scritto qualcosa: costui, per loro, diventa una “fonte” citabile. Perchè alla fine la sindrome che affiora è sempre la stessa, sebbene sotto mentite spoglie. Quella che “L’ha detto la tv“.

Quando non fanno morire di rabbia, sono esilaranti.

C’è chi al massimo ha passato una settimana a Sharm, ma sciorinando le proprie fonti (il depliant dell’agenzia di viaggi, la guida locale…) pretende di discettare alla pari di società islamica con chi vive in Egitto da trent’anni. Tra un tiro di dadi e l’altro l’appassionato di Risiko incalza da par suo gli esperti di geopolitica e di strategia militare sulle “fonti” delle loro affermazioni. Il laureato all’università della rete non dà scampo al docente universitario e lo inchioda esortandolo a paragonare l’attendibilità delle “fonti” con le sue, in genere di alto livello come wikipedia o siti di traballante natura e paternità.

Ovviamente, infatti, i talebani non capiscono che c’è tipo e tipo di fonte E che pure le fonti, per generare un’informazione, vanno in ogni caso verificate, vagliate, confrontate, soppesate.

Applicato al campo del giornalismo tutto questo dà vita a situazioni grottesche.

Il presupposto fondamentale, anzi ideologico e madre di tutti gli abbagli, è che, “poichè anch’io scrivo” (sui siti, sui social, oppure – si è sentito anche questo – nelle lettere al direttore) e quindi “sono anch’io un giornalista di fatto“, siamo praticamente colleghi. Solo che, pensa il furbega, a me non la si fa: io ho mie “fonti” certe, indipendenti, credibili. Mica sono come te. Non rileva che magari abbiano appena investito un pedone davanti ai tuoi occhi e che tu, oltre che cronista, sia pure testimone oculare del sinistro. Eh no, caro mio. Lui mette in dubbio ogni tua affermazione: mostrami le fonti di quanto racconti!

Ed è inutile, insistono, che i giornalisti-giornalisti se la tirino, vadano sul campo prendendosi pure dei rischi e delle responsabilità, controllino tutto con professionalità e magari, dopo appena qualche decennio di pratica, sull’argomento ne sappiano un po’ più di loro. In caso di errori non gli bastano neppure rettifiche, scuse, autodafè. Senza l’ostentazione delle “fonti” non si lallera:Chi è lei per affermare che Napoleone è morto? Chi si crede di essere? Da quali fonti trae queste asserzioni?“.

Giorni fa un tizio voleva spiegarmi dov’era casa mia. Le dettagliate descrizioni che, per conoscenza diretta, davo dei luoghi non lo convincevano: “Mi mostri le fonti!“, ha tuonato.

Gli ho mandato una foto di lavatoi.

Ma la cosa divertente è che spesso il cultore delle fonti è talmente accecato da non prendere nemmeno in considerazione che l’affermazione di qualcuno possa esplicitamente nascere da un’opinione propria e che, quindi, non sia tratta per forza da una “fonte” o sia riferbile a un terzo.

Il cultore delle fonti “purchè siano” è insomma come il lettore dei risvolti dei libri: conosce la trama di tutti, ma non ne ha letto nemmeno uno. Quindi quasi mai sa di cosa parla.