di LUCIANO PIGNATARO
Causa virus il vino italiano sta vivendo una crisi senza di mercato senza precedenti. Luigi Moio, ordinario di Enologia alla Federico II, produttore e vicepresidente dell’Oiv: “Puntare su green e enoturismo“.

 

Il vino nella storia ha conosciuto risi, economiche, storiche, culturali. C’è una specificità di questa in corso?

 

Le crisi del passato hanno quasi sempre colpito la produzione. La fillossera distrusse un’enorme quantità di vigneti. Oidio e peronospora compromisero seriamente la coltivazione dell’uva. Poi la crisi del dopoguerra. Periodi che hanno determinato un’enorme contrazione della produzione. Circa trentacinque anni fa, in un mercato debole in esportazione ma solido sulla domanda interna, abbiamo vissuto la crisi epocale del metanolo, che però diventò un trampolino di lancio verso il successo globale del vino italiano. Dopo quel lontano 1986, le parole d’ordine per il vino italiano diventarono: qualità e tracciabilità. Si cominciò a parlare del legame tra i vitigni ed il territorio, con un’eccezionale crescita qualitativa fino al successo straordinario degli ultimi anni.
Con il Covidlo scenario è completamente diverso. La qualità dei vini è elevatissima, ma il mercato si è fermato e la domanda è precipitata. Il crollo, tuttavia, è differenziato. Con il canale ho.re.ca. in stallo, la domanda di vini di pregio ha subito una contrazione mentre quella di vini di largo consumo, presenti soprattutto in gdo ha subito a volte un notevole incremento. La crisi, oltre alla riduzione della domanda, ha creato un forte disequilibrio tra i vari segmenti del mercato che probabilmente provocherà un riposizionamento di una parte dell’offerta.

 

Quali sono i punti deboli del sistema vino italiano che hanno aggravato la difficile situazione?

 

Innanzitutto la mancanza di coordinamento tra gli istituti (pubblici e privati per la promozione del vino e una carenza di sostegno alle aziende. Le nostre aziende soffrono storicamente di un problema dimensionale che crea non pochi ostacoli in una economia globalizzata, dove la massa critica è fondamentale.
Un altro punto debole è il disordine tipico del modo del vino in tutte le sue componenti. Nel mercato esistono segmenti den definiti e anche approcci produttivi quasi tutti orientati verso il biologicoT. utti vogliono fare tutto senza indicare in modo chiaro e preciso quali sezioni del mercato si desidera occupare. Questo ha determinato anche un caotico affollamento di etichette, anche in riferimento alla produzione della singola azienda.
Si cerca una diversificazione per accontentare tutti, ma così si finisce per non accontentare nessuno. Il Covid lo ha reso esplicito!

 

Ci sono i presupposti di una ripartenza? E su cosa si basano?

 

La forza della nostra Italia risiede in una straordinaria diversità e di ciò il vino italiano è un paradigma planetario.  In uno scenario mondiale in cui la diffusione sgli stessi pochi vitigni, cosiddetti internazionali, ha portato ad un livellamento sotto il profilo sensoriale, i nostri vini da vitigni autoctoni hanno un vantaggio competitivo enorme: gli appassionati si orientano sui con maggiore connotazione territoriale. Ci vuole però un po’ di coraggio e una profonda conoscenza tecnica.  I processi di vinificazione dovrebbero essere plasmati sulle caratteristiche dell’uva e dei luoghi di origine. Tutto, ciò dopo il Covid, deve diventare ancora più un valore.
Inoltre è necessario dare più forza all’enoturismo. Le cantine devono diventare attrattori culturali e fare una buona accoglienza. Chi produce vino dovrà vendere anche il luogo in cui il vino si realizza. Il tutto con garbo, semplicità ed autenticità.
Un altro punto non più differibile è l’attenzione ad un’agricoltura sempre più “green”. Aspetti che è necessario affrontarli a livello di sistema, estendendo la sostenibilità ambientale a tutta la filiera vitivinicola. Lo stesso discorso vale in cantina, dove l’“ecowinery” e la “milde-enology” sono obbiettivi da perseguire con umiltà e l’aiuto della ricerca scientifica. Non si possono più raccontare solo storielle e favolette.

 

La crisi ha fatto ripensare i consumi del vino, Si sono rafforzati l’e commerce e la Gdo. Ciò spinge a ripensare anche la produzione?

 

Probabile che qualcosa cambierà, anche rapidamente. La storia narra che nei momenti di difficoltà nascono grandi opportunità. Dopo il metanolo il comparto vitivinicolo si trasformò radicalmente portando il vino italiano a livelli di eccellenza qualitativa mai raggiunti prima. La stessa cosa deve emergere da questo brutto periodo. La pandemia ha rafforzato scelte che garantiscono maggiore salubrità ed in quest’ottica l’intera filiera produttiva deve assolutamente aumentare gli sforzi per garantire la sicurezza dei consumatori e la sostenibilità ambientale.
Ci vuole grande attenzione all’agricoltura biologica e alle sue modalità di esecuzione. Anche in seno all’OIV il dibattito da anni è vivace e queste tematiche costituiscono gli assi principali delle strategie per il futuro. Anche la sensibilità dell’opinione pubblica su questo punto è cresciuta tantissimo.
In tale ottica questa crisi potrebbe rivelarsi un formidabile acceleratore della conversione dell’intera viticoltura italiana in biologico, cominciando dalle denominazioni di maggior pregio e di maggiore valore. Chiaramente un rinnovamento di tale portata dovrà interessare diversi aspetti dell’intera filiera. Per esempio la revisione delle rese massime. Non sarà più sufficiente produrre vini buoni, ma diventerà sempre più importante come vengono prodotti.

 

Le guide tradizionali hanno ancora un senso? Di cosa avrebbe bisogno il mondo del vino sul versante della comunicazione?

Adoro l’odore dei libri e mi piace il contatto intimo con le pagine, per cui mi dispiacerebbe molto se le guide dovessero essere sostituite da altri strumenti mediali. Purtroppo però il Covid sembra averne accelerato la sostituzione, perché ha velocizzato enormemente il passaggio al digitale col quale presto tutti hanno familiarizzato e di cui sicuramente pochi potranno fare a meno in futuro. Poter organizzare con estrema facilità meeting virtuali con più persone dai luoghi più disparati è una rivoluzione nella comunicazione e una grande opportunità per raggiungere direttamente importatori, i clienti, appassionati .
Le guide, in questo scenario, dovranno essere riconcepite. Sarà necessario ampliare le informazioni sulle aziende esaminandone l’intera filiera sul campo attraverso visite dirette. Oltre al contenuto del bicchiere andranno considerati filosofia produttiva, organizzazione aziendale, gestione delle vigne, valori etici e morali, ecc.
Nel caso dei vini più pregiat, bisognerebbe fare un parallelo con almeno le annate più recenti in rapporto all’andamento climatico dell’annata, per fornire agli appassionati informazioni più precise sulla evoluzione sensoriale dei prodotti. Non ha più senso leggere una ripetitiva descrizione che, per via delle tante guide presenti sul mercato, finisce con il creare ancora più confusione.

 

Pubblicato in contemporanea su