di ROBERTO GIULIANI
Fontalloro ‘95 Felsina: in epoca di “tutto e subito”, i grandi vini degli anni ’90, quando clima e modi di lavorare erano diversi, hanno molto da insegnare ai neofiti. Soprattutto in materia di longevità.

 

Non c’è giorno che non nascano nuovi vini e nuove realtà produttive, chi si affaccia al mondo enologico oggi non è così scontato che conosca vini come il Fontalloro. Basta girare i social per rendersene conto, le bottiglie che hanno fatto storia negli anni ’90 oggi sono meno ricercate, c’è più attenzione verso il nuovo, verso la corrente più in voga al momento, cosa tutto sommato normale.

Quello che però ai meno esperti sfugge è che, guardando al passato, si possono scoprire vini capaci di resistere al tempo in modo straordinario, alla loro uscita meno “pronti”, ma con una materia prima di elevatissima qualità, alla quale il lungo affinamento dà spesso giustizia.

Oggi il mercato chiede tutto e subito, così possiamo trovare Barolo, Brunello, Taurasi, Sagrantino bevibilissimi, ma siamo sicuri che abbiano le stesse potenzialità dei loro precursori?

Oltre al diverso modo di lavorare in vigna e in cantina, per ottenere vini più pronti e godibili, c’è anche un clima che è radicalmente cambiato, sempre più instabile e con punte di caldo un tempo impensabili, che nel vino significano gradazioni alcoliche elevate e acidità più moderate. Con queste caratteristiche un vino può evolvere bene per 20 o 30 anni o più? Ne dubito.

Certamente il Fontalloro ’95 ci è riuscito, 26 anni abbondanti raggiunti in grande spolvero, un “Sangioveto” in purezza proveniente dai poderi di Poggio al Sole e Arcidossino di una storica cantina di Castelnuovo Berardenga (quindi nel territorio del Chianti Classico), maturato in barrique per una ventina di mesi e affinato in bottiglia per un anno.

Le uve provengono dalla partita catastale n.1334, foglio n.111, particelle n.41,57, su una superficie totale di 6,18 ettari.

L’annata 1995 ha avuto un andamento climatico piuttosto irregolare, con temperature estive basse e piogge frequenti che hanno provocato un ritardo nella maturazione di una decina di giorni. L’acidità naturale si è manifestata più elevata del normale favorendo un ottimo sviluppo del patrimonio aromatico. La raccolta delle uve è stata eseguita a metà ottobre. La gradazione alcolica è risultata di poco superiore ai 13 °C (13,04), l’estratto di 26,01 g/l e l’acidità totale di 5,55 g/l.

Aprire questa bottiglia (la prima annata del Fontalloro risale al 1983) è stato per me come ritornare al periodo in cui nasceva la mia “consapevolezza” nei confronti del vino, perché la passione c’era già ma fino ad allora avevo bevuto con gusto e curiosità senza avere ancora gli strumenti per comprendere fino in fondo la complessità dei vini.

Ricordo di avere ascoltato in più occasioni Giuseppe Mazzocolin, uomo di straordinaria cultura, genero del fondatore di Felsina, Domenico Poggiali; il suo linguaggio e la sua sensibilità nel raccontare il territorio chiantigiano, la storia, i suoli, il lavoro di ricerca, hanno contribuito a farmi innamorare del vino e ad accostarmi ad esso in una forma del tutto nuova, che ha sicuramente tracciato il mio futuro.

Ma entriamo nel vivo della degustazione: già il colore non passa inosservato, un granato ancora vivo e privo di cedimenti ai bordi; è sufficiente ossigenarlo per qualche minuto per notare come i sentori più evoluti, emersi al primo approccio, siano poco a poco sfumati, lasciando spazio a note di ciliegia nera e prugna mature, sottobosco, eucalipto, felce, tabacco, cuoio, humus, sandalo, terra umida, leggero caffè, liquirizia.

All’assaggio è diritto, sostenuto da un’acidità ancora vitale, sapido e profondo nel suo incedere, complesso e soprattutto avvincente, progressivo, lunghissimo, un piacere per i sensi e un commovente richiamo a tutto il fascino di un grande Sangiovese.

 

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