La cosa più giusta sull’inchiesta di Barbara Amoroso su giornalisti vs influencer l’han detta sui social: c’è chi vorrebbe, per avere un'”influenza” commerciale più efficace, che i primi facessero il lavoro dei secondi.

 

Fin dai tempi del liceo la “Batracomiomachia” (ossia, letteralmente, “la battaglia tra le rane e i topi“, poemetto parodistico ricalcato sull’epopea dell’Iliade e attribuito con varie fortune, se la memoria non m’inganna, perfino a Omero) mi è stata simpatica.

Essa è il ritratto perfetto di tante piccole guerre di retroguardia combattute ogni giorno sotto i nostri occhi tra interessi e categorie presuntamente contrapposti e che, invece, somigliano più che altro ai capponi di Renzo, destinati cioè a una fine rapida ed ingloriosa.

Una delle più accese batracomiomachie dei nostri tempi è in corso da anni tra i giornalisti e certe categorie reputate o autoreputate loro “concorrenti“: si cominciò coi blogger, si è continuato con gli influencer ed ora è la volta dei content creator. Il motivo dell’attrito è in apparenza evidente: gli uni sentono minacciati dagli altri, e viceversa si capisce, i rispettivi territori d’azione e di caccia. E il campo di battaglia è sempre quello più pedestre, ossia il martoriato mondo di inviti, press tour, accrediti, imbucamenti, patacche varie e privilegi virtuali.

Giorni fa la collega Barbara Amoroso Donatti ha pubblicato su Mediaddress (qui il testo completo) un interessante articolo con il quale affronta l’argomento in modo coraggioso, ossia dando direttamente la parola ai rappresentanti delle varie categorie e facendo loro spiegare chi è diverso da chi e perchè.

L’esito (non dell’articolo ovviamente, ma del quadro che ne emerge) è sconfortante, perchè assevera lo stato di confusione concettuale permanente che ormai avvolge quasi per intero il settore dell’informazione e della comunicazione, inducendo i vari esponenti a dichiarazioni sconcertanti, a riprova di un’ormai costante inversione di ruoli e funzioni.

In poche parole, tutti pensano di dover e poter fare le stesse cose, ma dall’alto di professioni diverse. Non esisterebbe pertanto alcuna differenza sostanziale tra l’influencer che, pagato dal produttore di qualcosa, pubblicizza il prodotto per indurre il consumatore ad acquistarlo, e il giornalista che, pagato invece da un editore e vincolato da una deontologia, testa e critica quel prodotto per suggerire al consumatore, da una posizione super partes, se acquistarlo o meno e perchè. Roba per la quale anche la vecchia, cara Solvi Stubing (quella dello spot di “Chiamami Peroni, sarò la tua birra“), si rivolterebbe nella tomba: mai un testimonial avrebbe pensato di vedersi eretto a giudice.

E a chi obietta che nella realtà le cose vanno diversamente e che la commistione è palese rispondo che spesso è vero, ma che proprio per questo motivo occorre al più presto rimettere le cose a posto e marcare di nuovo i confini. I quali esistono, come esistono pure gli strumenti per farli rispettare.

Leggo ad esempio, trasalendo, che secondo alcuni la differenza tra blogger/influencer/content creator e giornalisti sarebbe che i primi fanno un’informazione “leggera e i secondi un “approfondimento“. Il che, a pensarci bene, sottintende l’assunto che le due figure professionali condividono la stessa natura e funzioni, sebbene espresse su livelli diversi.

Certo, come no? E’ come dire che avvocato difensore e pubblico ministero, o arbitro e giocatore fanno lo stesso mestiere, sebbene modulato in maniera differente.

Questa mistificazione, purtroppo penetrata così profondamente nella mente in vaste fasce della società da averne convinto il cittadino medio, sta inducendo alla sistematica confusione tra verità e propaganda, tra fatti e reclame.

Ma nulla, assolutamente nulla può giustificare l’esistenza di questa ambigua marmellata. Nemmeno la presenza dei legittimi tornaconti di quei tanti committenti che, allestendo le loro campagne di comunicazione, non colgono o fingono di non cogliere le differenze e affidano la propria fortuna mediatica al sistema del “todos caballeros“. Sistema che scatena la guerriglia permanente in parola. E in cui, sia chiaro, anche parecchi esponenti della stampa sguazzano alla grande.

A mio modesto parere, invece, sarebbe massimo interesse di tutti – giornalisti, blogger/influencer/content creator e soprattutto dei cittadini – che ruoli e professionalità rimanessero rigidamente separati, anzi fossero dichiarati incompatibili: non solo, ovviamente, in nome della trasparenza e della chiarezza dell’informazione, che è comunque un a priori irrinunciabile, ma anche affinchè ognuna di quelle figure possa fare il proprio mestiere con calma, serenità e chiarezza di compiti, senza pericolose mescolanze che non avvantaggiano nessuno, nemmeno chi paga. E che rischiano di far precipitare la categoria dei giornalisti al rango di quella degli influencer anzichè, come spesso molti dei secondi segretamente ambiscono, il contrario.