Quando sembra ovvio rifiutare i lavori ritenuti sottopagati, poi si sgomita per fare i giornalisti gratis, magari accollandosi pure le spese. E questo invece sembra normale, perfino a chi lo fa.

 

Altro che la proverbiale distinzione di Fortapàsc tra giornalisti-giornalisti e giornalisti-impiegati. O la retorica un po’ appannata sui giovani-bamboccioni e quella, attualissima (ma transanagrafica, in verità), sulla poca voglia di lavorare.

Sembra infatti che un sacco di gente stia fuggendo dalle occupazioni mal pagate o sottopagate (non entro qui nel merito del se e quanto lo siano, mi limito a rilevare che per tanti, evidentemente, lo sono) preferendo fare altro, o anche nulla.

Il commercio, la ristorazione e il turismo sono, si legge poi, alla canna del gas: impossibile trovare camerieri o gente disposta a lavorare fino a tarda sera o nei festivi, se non in cambio di compensi che, sempre giusto o sbagliato che sia, sono ritenuti dai datori di lavoro eccessivi o non sostenibili. “Rispetto all’anno scorso – mi raccontava giorni fa un ristoratore stellatosiamo quattro persone in meno: dopo il lockdown qualcuno si è messo a fare il rider, qualcun altro l’autista, qualcuno lavora da Amazon. Ma a ristorante non vuole tornarci nessuno“.

Ebbene, in una temperie dall’orientamento così netto, e che prima o poi in un senso o nell’altro presenterà il conto (ma nemmeno in ciò mi addentro, per ora), c’è un’isola felice della quale, incredibile!, nessun  osservatore sembra essersi accorto: il giornalismo.

Fatti alla mano e qualche mugugno di maniera a parte, infatti, a scrivere articoli anche per un pezzo di pane o perfino gratis sono disposti pressochè tutti. O comunque in un numero soverchiante rispetto a chi si rifiuta. Ci sono casi, nemmeno troppo rari, di gente che addirittura paga per lavorare, nel senso che pur di scrivere si accolla spese che ammontano a tre, cinque, dieci, trenta volte il compenso riscosso.

E che compenso! Si va dai due ai quindici euro a pezzo per prestazioni che possono andare da qualche ora a qualche giorno di lavoro, senza orari, con disponibilità ventiquattore su ventiquattro e pagamenti dai tre ai dodici mesi.

Avete letto bene. E chi è nel settore lo sa benissimo.

Ciononostante, la concorrenza è spietata. La gente sgomita. Giovani illusi? Macchè, ci sono ultraquarantenni assatanati che contendono ai diciottenni alle prime armi le fatidiche trenta righe a tre euro.

Insomma, da un lato ci si rifiuta di fare il cameriere o la commessa per dieci ore al giorno a 1.300 euro mensili (scelta in sè anche legittima, vedi sopra), ma poi si lotta senza quartiere per offrire gratuitamente il proprio lavoro – fisico e intellettuale, perchè a fare il giornalista si trotta pure – a un editore.

Nessuno ha nulla da dire e nessuno ci trova nulla di strano?

Tutto normale? E perchè?

Davvero l’informazione può essere riservata a chi la fa per hobby visto che dalle redazioni non si esce quasi più e in strada a cercare le notizie ci sono i collaboratori?

Son tutto orecchi!