Da ieri, prove tecniche di “gallina urbana” e di “bevuta evoluta” nel capoluogo fiorentino. Per un weekend all’insegna della post (o della neo?) ruralità. E del passaggio, forse, dal giardino zoologico al giardino antropologico. in attesa della “terza via” del vino: God Save The Wine.

Scampagnate, dejeuner sur l’erbe, fattorie didattiche, turismo del vino, degustazioni guidate in cantina addio?
Non si era ancora finito di battersi il petto per il fatale oblio della società contemporanea nei confronti delle sue radici rurali e di escogitare nuovi mezzi per convincere la distratta popolazione urbana a riassaggiare i piaceri della campagna con annessi e connessi (dalle prove di vita bucolica alla familiarizzazione con gli animali da cortile, dalle visite in cantina ai sapori “veri” del contadino, vino buono incluso), che già la realtà supera la fantasia.
Esattamente, anzi di più che nel miracolo di Maometto: se la gente non va in campagna, è la campagna che va in città. E trasforma la ruralità in un “evento” a cavalcioni tra natura e mondanità. Inutile fare moralismi e snobismi tanto giusti quanto inutili: sta succedendo proprio questo.
La riprova si ha durante questo weekend dove, in contemporanea, a Firenze si tengono due appuntamenti tra loro apparentemente estranei. E invece legati da forti affinità sociologiche.
Si tratta dell’Expo Rurale (notizie e programma qui), una sorta di megafiera di campagna allestita nel grande parco delle Cascine, e di Winetown (notizie e programma qui), un vero e proprio happening enoico che, seguendo il fil rouge del vino di qualità, si snoda in realtà in una scia di sottoeventi come spettacoli, degustazioni in palazzi storici, show cooking, cene a tema e così via.
Sebbene con un programma anche tecnico-agricolo fittissimo, con i convegni e l’immancabile sfilza di stand di produttori per la vendita diretta, la via imboccata dall’Expo Rurale dopo la prima edizione dell’anno scorso è infatti chiara: è nato il giardino zoologico temporaneo degli animali domestici e da cortile. Circolavano voci, che non ho avuto ancora il tempo di verificare, secondo cui alla prima edizione avrebbero partecipato oltre 100mila visitatori. Una somma per me irrealistica, alla luce del (prevedibile) vuoto pneumatico che avevo riscontrato nei padiglioni e durante le conferenze dedicate ai temi agricoli. Ho scoperto poi che in effetti la gente c’era, ma non stava al chiuso nelle tensostrutture, bensì all’aperto, nell’area destinata alle dimostrazioni e agli animali: oche, galline, asini, mucche, cavalli, pecore e maiali. Un pienone di bambini portati per mano da nonni e genitori. “Anch’io ci ho portato mio figlio, che non aveva mai visto le anatre“, mi ha detto un collega. Chapeau, anche se è dura da ingoiare per un “rurale” vero come me: si vede però che la formula funziona davvero. Speriamo solo che il passo successivo non sia la creazione di un giardino antropologico dove, dopo gli animali, mettere in mostra gli ultimi esemplari di agricoltore, razza effettivamente in via di estinzione (almeno nella sua tipologia tradizionale).
Atmosfera meno campagnola, ovviamente, e più mondanamente frusciante a Winetown, tra sauternes, grandi etichette e peccati di gola. Dove accanto al vino e al cibo, tuttavia, i protagonisti finiscono per essere anche il centro storico fiorentino, le sue architetture e quella ormai vasta categoria di appassionati transumanti che si colloca a metà tra il burocratico “consumatore consapevole” e il meno triste “gaudente moderato“. Una fascia di persone che, insomma, a tutti gli effetti sembra già costituire una certa “massa” e perciò anche un target commerciale nuovo e appetibile: competenti quanto basta da sapere, almeno orientativamente, ciò che bevono e mangiano, informati su locali, nomi e tendenze, ma non abbastanza paludati da resistere alla tentazione della novità e al piacere della convivialità, senza troppe liturgie e la fissa dei punteggi e del linguaggio formulare dei degustatori. C’è chi osserva, forse non del tutto sbagliando, che il fenomeno potrebbe incarnare una sorta di riedizione in chiave, diciamo così, “organolettica”, di un certo edonismo degli anni ’80. Acuta osservazione di cui vale la pena di seguire gli sviluppi.
Non è un caso del resto che, sempre a Firenze, sia nato in questi anni un format di evento enogastronomico di cui proprio ieri è stato presentato il “manifesto” ufficiale: God save the wine. Ovvero un cartellone (qui) ragionato di appuntamenti mensili per bei vini, in bei posti, per bella (si spera) gente. Tanta e poca quanto basta per far numero, ma evitando le sgomitate. Siccome l’idea funziona, sono già pronti i piani per uno sbarco in altre città.
E così, di nuovo, se il consumatore non va alla campagna, è la campagna che va a casa del consumatore. E parla la sua lingua. New urban cowboys?