Sul Corriere aveva accusato chi, vent’anni fa, gli aveva venduto la tenuta Il Palagio di averlo truffato dicendo che il Barolo servitogli fosse vino prodotto in azienda. Il figlio dell’ex proprietario gli ha risposto pubblicamente per le rime. Ora lui si scusa, ma…

 

La presunta truffa subita da Sting al momento di acquistare, vent’anni fa, la Villa Il Palagio in Valdarno, poi trasformata in celebrata fattoria-glamour, ha avuto un’inevitabile eco mediatica.

Quando la vicenda fu riportata da Luciano Ferraro su “7” del Corriere della Sera e sull’edizione on line del quotidiano del 13 agosto scorso, confesso di essere sobbalzato sulla sedia, perchè era evidente che tutto – tra titoli, tono, contesto – era il frutto di una forzatura. La quale però risultava infamante verso la memoria del nobiluomo che vendette la proprietà all’ex bassista dei Police, Simone Velluti Zati di San Clemente.

Ora, io conosco Luciano Ferraro, collega di indubbio spessore professionale, e pure Sting, che ho incontrato in alcune occasioni anche ufficiali: un uomo senza dubbio più simpatico del suo entourage e, da buon miliardario, divenuto anche un abile businessman e un bravo venditore di se stesso. Nulla di male, intendiamoci.

Ho però conosciuto molto bene e ho avuto l’onore di essere amico di Simone Velluti Zati, persona di straordinaria lungimiranza, cultura e stile. Diciamo pure parecchie lunghezze oltre la media. E l’immagine di guitto e furbastro che, con astuzie levantine, affibbia al babbaleo albionico modeste vigne per altre capaci di produrre vino pregiatissimo facendogli assaggiare Barolo spacciato per rosso della fattoria, non solo non era credibile, ma proprio gridava vendetta al cielo.

Confesso: sono stato lì lì per esprimere la mia indignazione e il mio rammarico per la calunnia, ma poi ho rinunciato, confidando nel fatto che ci fossero persone più titolate di me per protestare.

E infatti, qualche giorno fa, il figlio di Simone, Francesco Velluti Zati, ha scritto una garbata ma assai dura lettera pubblica con la quale difende la memoria del padre e smentisce categoricamente la storiella della truffa raccontata da Gordon Sumner, in arte Sting.

Il quale, diciamolo, annusando l’aria e ben sapendo di aver calcato troppo i toni (in ciò certamente aiutato dal giornale, ben lieto di dare una notizia così mediaticamente produttiva), mi sarei aspettato correggesse il tiro prima e riconducesse l’episodio nell’alveo della bonaria aneddotica anzichè, tacendo, alimentarlo indirettamente.

Poi, forse messo sull’avviso da qualche saggio consigliere, dev’essersi ravveduto e sul Corriere di oggi pubblica una lettera di scuse. La quale però, nella sua retromarcia, risulta involontariamente comica e, in definitiva, una toppa peggiore del buco.

Primo perchè ribalta la versione dei fatti, dicendo che non fu Simone Velluti Zati a servirgli Barolo spacciandolo per vino del Palagio, ma fu lui, Sting, che all’epoca non distingueva “un rosso da una saponetta” (sic…), a credere ingenuamente che il vino servitogli fosse Barolo, errore marchiano di cui si sarebbe accorto solo “in seguito“. Mah…

Secondo, perchè il musicista tenta di far credere che l’episodio sarebbe stato narrato con ironia, “che viene più difficilmente percepita nei testi scritti“. In pratica accusa velatamente il giornalista di non averla saputa restituire nell’articolo-intervista.

Ferme le incertezze dettate dalla traduzione delle dichiarazioni di Sting da inglese in italiano, lingua che egli non parla, credo che il nostro avrebbe dovuto in qualche modo ammettere in modo più esplicito le forzature giornalistiche delle quali era stato, se non complice, almeno concausa.

Il che avrebbe giovato alla sua immagine e a quella della sua fattoria.

Peccato, una brutta storia che nessuno meritava.