Alla manifestazione umbra, che anticipa quella tradizionale di Cerea, c’erano 60 produttori e 200 etichette di vini prodotti secondo la “regola” del consorzio. Siamo andati ad assaggiare e ad annusare l’atmosfera. Ecco com’è andata.

 

Francamente m’importa poco o nulla di partiti, fazioni e ideologie. Nel vino come, in generale, di tutto. Vado ovunque, senza preconcetti nè paraocchi, e poi traggo le conclusioni. E ritengo che la curiosità onesta, ossia andare a vedere cosa succede e riferirne in modo sincero e imparziale, sia il primo dovere di un giornalista.

Ecco perchè a metà gennaio mi sono fiondato alla quinta edizione di ViniVeri Assisi, il salone che, in anteprima rispetto alla storica manifestazione primaverile prevista come di consueto a Cerea (VR) dal 12 al 14 aprile, ha presentato 60 produttori di vino e 6 di agroalimentare con oltre 200 etichette di vino delle ultime annate, da ogni parte d’Italia. Tutti ovviamente aderenti alla “regola” dell’omonimo consorzio.

Al di là degli assaggi, che erano ovviamente l’obbiettivo principale, ero interessato anche a capire fino a che punto il tetralogo dell’associazione (aggregare chi dichiara il proprio processo di lavorazione nel rispetto della “regola”; stimolare la discussione tra produttori, scambiandosi esperienze e risultati raggiunti; ricercare il miglior equilibrio tra l’azione dell’uomo ed i cicli della natura; comunicare all’esterno la presente regola e le aziende che aderiscono alla stessa) fosse poi concretamente applicato in quel contesto.

Alla fine l’impressione è stata ottima: organizzazione efficiente, logistica idem, folla tollerabile, atmosfera stuzzicante, molti vini piacevoli, un clima disteso senza camuffature o uniformi, una gradevole trasparenza e, soprattutto, vignaioli vogliosi di parlare pacatamente dei loro vini. Riuniti sì da un’indubbia affinità filosofica e produttiva, è ovvio, ma risultati alla fine, come del resto chi li produce, senza estremismi nè omologazioni caricaturali.

Ne scaturisce una riflessione probabilmente scontata, ma di cui fa sempre piacere riverificare la veridicità: per cogliere la misura delle cose, occorre provarle e toccarle con mano. Privarsi di certe opportunità, o affrontarle con apriorismi, è solo miope. O sciocco.

 

Ed ecco, spulciando random i nostri appunti, cosa ci è piaciuto di più.

 

Tramontana 2021 Malbo Passito Emilia Igp, Podere Cipolla.

Il Malbo, ci dice il produttore Denny Bini, è un’uva da taglio (nulla a che vedere col Malbec) usata per il Lambrusco, ma qui proposta in purezza (appena 200 bottiglie). Colore sangue di toro, naso screziato e suadente con variegate note mediterranee, amarena ultramatura e rimandi che ricordano l’Aleatico, senza tuttavia inclinazioni “appiccicose”. La stessa pulizia e mancanza di stucchevolezza si riscontrano al palato, dove emergono il caffè zuccherato o addirittura il pocket coffee, in un sorso di grande equilibrio in cuie alla fine prevale la piacevolezza. Ottimo.

 

A Love Supreme, Lambrusco Emilia Igp Spumante Rosè, Podere Giardino.

Di coltraniano in senso strettamente jazzistico il vino non ha molto, ricorda piuttosto certi swing più agili e nervosi o certi passi gershwiniani. Ma dal bicchiere il Lambrusco Marani 100% metodo classico, con 54 mesi passati sui lieviti, esce convincente: color mattone, bolla densa, naso ricco e pungente con note di biscotteria secca, una bocca composita, profonda e pastosa, sostenuta da una bella acidità. Apprezzabile.

 

Rubino, Cesanese del Piglio docg 2022, Terre Antiche.

Diraspato e fermentato in anfora, questo rosso biodinamico dal colore piuttosto scarico si presenta con un gradevolissimo bouquet fruttato e croccante, quasi gioioso, e in bocca cresce rivelando una ricchezza, una lunghezza e un ventaglio di sentori godibili e sorprendenti. Rivelazione.

 

Vento, Marche Igt 2022, Agostino Romani.

Il vignaiolo-artigiano e (ex?) commercialista Agostino propone alcuni vini di forte personalità: più di tutti ci è piaciuto questo taglio di 50% di Montepulciano, 20% di Pinot Nero e 30% di Sangiovese affinato per 6 mesi in barrique di terzo passaggio: sebbene ancora acerbo, ha regalato un naso tosto e intrigante e una bocca tanto complessa quanto diretta. Promettente.

 

Gurte, Terre Siciliane Igt 2020, Il Censo.

Dalle alture sassose dei Monti Sicani, dove si parla l’arberesce albanese e si celebra secondo il rito greco cattolico, un vino da Inzolia bianca 100% vinificata in modo tradizionale, che nel calice riflette tutta l’originalità della sua origine: di colore ramato, quasi arancione, ha un naso intenso e pastoso che echeggia di frutta secca e una bocca acidissima che sulle prime spiazza, ma non si dimentica. In(z)olito.