In Toscana, due casi uguali e contrari riaccendono il tema dell'”economia della gratitudine“, cioè il pilastro su cui si regge, o si vorrebbe si reggesse, buona parte del sistema italiano dell’informazione: la gratuità del lavoro giornalistico.

 

Oggi il volontariato è di gran moda. Lo era anche prima, solo che magari si chiamava in modo diverso. Comunque la sostanza non cambia: fa volontariato chi, per scelta e non per costrizione, svolge un lavoro o compie un’opera gratis.

La coincidenza non è però perfetta.

Gratis è infatti gratis tout court, non prevede cioè calcoli o implicazioni circa il valore dell’opera volontariamente svolta senza percepire un compenso. Volontariato è invece un po’ diverso, a volte quasi il contrario: proprio perchè si è consapevoli dell’alto valore, economico e non, del lavoro prestato, si sceglie di farlo gratis, onde consentire ad altri di beneficiare di quel medesimo valore.

Al giorno d’oggi, uno dei campi prediletti per l’esercizio di questa gratuità e del volontariato, relative economie incluse (la cd economia della gratitudine, vedi qui), è il giornalismo. E attorno ad esso si attorciglia il groviglio della questione professionale tra sottopagamenti, pagamenti simbolici, pagamenti virtuali e compensi più o meno equi.

In questo quadro, nel giro di pochi mesi mi si sono presentati due casi, per l’appunto, uguali e contrapposti. A dimostrazione di quanto, considerato il ruolo centrale che l’informazione occupa nella società di oggi, il nostro mestiere spesso si trovi suo malgrado al centro di tensioni che potrebbero dilaniarlo o addirittura trasfigurarlo.

Eccoli.

Caso positivo. A fine maggio mi invitano alla presentazione di una nuova rivista on line dedicata al cibo: magazine.dichecibo6.it. Dove sta la novità? In due cose: la prima, forse scontata ma neanche troppo, è che la testata si propone ai lettori non tanto come contenitore di ricette, di suggerimenti o di recensioni bensì come giornale incentrato sulla cultura del cibo: dalla piscologia alla società, dal cinema alla moda, dall’educazione alla storia. Chiave impegnativa, affascinante e non semplice da praticare. La seconda novità, questa invece niente affatto scontata ed emersa solo a fronte di una mia esplicita domanda, è la seguente: ogni contributo ai contenuti è professionale, ma volontario e gratuito. In altre parole, si scrive da e come giornalisti, ma per il solo piacere di farlo, senza mercede. In altre parole ancora: è proprio la gratuità delle prestazioni professionali (direzione, redazione, fotografie, impaginazione, gestione digitale, etc) a consentire l’esistenza e la sopravvivenza della testata. Ammetto che, come libero professionista che campa di quello che scrive, ho fatto un po’ di fatica a entrare nell’idea ma poi ho capito che, una volta accettato il principio, le cose possono funzionare.

Si tratta di una sorta di volontariato giornalistico puro, in cui la prestazione è per tempi, modi, qualità, modalità del tutto professionale e il corrispettivo è una sorta di rimessa a favore dell’editore (volontario anche lui).

Caso negativo. Passano due mesi ed ecco alla ribalta delle cronache un caso uguale e contrario. Stavolta però tanto singolare da richiedere un interessamento dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana. E’ quello di Antenna Radio Esse, storica emittente senese di proprietà dell’omonima cooperativa e titolare di un’omonima testata giornalistica che dà lavoro part time a tre gionalisti, tra i quali il direttore Cristiana Mastacchi, che curano notiziari, approfondimenti, rassegna stampa, etc.

Bene: che succede? Da un lato quello che oggigiorno succede spesso: il piatto piange, i costi sono insostenibili  e la proprietà decide di cambiare linea editoriale. Via quindi la parte informativa, progressivo smantellamento della redazione e affidamento in futuro delle medesime funzioni a dei “volontari“. Lo scrivo in corsivo e tra virgolette da un lato perchè così si è espresso il direttore raccontandomi la vicenda, dall’altro perchè non è chiarissimo cosa si intenda per volontari. Il che si sposa alla perfezione con l’argomento che stiamo cercando di trattare.

Premesso che il caso è ancora in fase interlocutoria e che il nostro intervento non vuole entrare (per ora) nell’aspetto giuslavoristico e sindacale del medesimo, le domande che ci facciamo sono seguenti: parlando di volontari, qui ci si riferisce a giornalisti-volontari, cioè a giornalisti che accettano, nel nome di qualcosa (ad esempio della continuità dell’emittente), di lavorare gratis o a prezzo simbolico? In questo caso, visto che per dare loro spazio si sono messi in mobilità altri giornalisti, si tratta di un volontariato deontologicamente accettabile o si tratta di una sorta di concorrenza sleale tra colleghi? Nel caso in cui invece i volontari non fossero giornalisti (ad esempio studenti universitari, stagisti o semplici hobbisti), sarebbe ammissibile che la sezione riservata all’informazione di un’emittente radiofonica (oltretutto titolare di una testata giornalistica) fosse affidata a chi non è iscritto all’albo professionale?

Secondo chi scrive, ovviamente, no.

Poi però il pensiero va ai recenti Stati Generali dell’Editoria, quando nel corso dell’ultima giornata il segretario dell’FNSI ha provato a giustificare la propria assenza all’assise con (e altri sindacalisti presenti hanno contestato) il fatto che tra i relatori sedesse qualcuno che proponeva un modello di editoria on line che si basava sui contributi di lavoratori autonomi e prescindeva quindi non dalla figura dei giornalisti, ma da quelli inquadrati all’interno del contratto collettivo nazionale di lavoro sotto il quale, come noto, nessuno assume più nessuno.

Allora mi chiedo: quali sono i reali confini del volontariato giornalistico?