Ma se, come sembra, la massima aspirazione (o l’unica alternativa: dipende dai punti di vista) di alcuni giornalisti è diventare blogger, pure noi dove andremo a finire?
Clamoroso al Cibali, anzi alla Bit: era la giornata inaugurale della più importante fiera del turismo italiana, o di ciò che ne resta, e non si vedeva in giro un travel blogger che fosse uno. Com’era possibile? Si è già spento il sacro fuoco?
Eppure quattro mesi fa, al TTG di Rimini (qui il mio resoconto), era strapieno di travel, di wine, di food e perfino di ancheggiantissime fashion blogger.
Nella mia ingenuità, cosa grave assai visto che da un pezzo ho superato gli anta, ho sul momento attribuito questa defaillance alla mancanza di incontri dedicati al blogging nel primo giorno della Borsa Internazionale del Turismo di Milano. “No evento, no blogger“, ho pensato.
Ad aprirmi gli occhi ci ha pensato tuttavia una collega, ben scafata in utroque jure. Mi ha detto: “ Quale sorpresa? Per venire qui non hai alcun viaggio pagato, alcun rimborso spese nè buono pasto, albergo o benefit. E se non ci sono queste cose, i blogger non vengono“.
Ohibò, mi sono detto a mia volta, può anche darsi che sia vero ma, a giudicare da quello che ho visto, è certamente verosimile.
La cosa ancora mi frullava in testa quando, più tardi, attorno a un tavolo si discettava tra colleghi delle solite cose: il declino della categoria, la scomparsa dell’editoria di viaggio e, con essa, dei giornali e quindi di noi come professionisti. As usual, il discorso è scivolato sulle testate on line e infine sui blog. Come se la risposta alla questione già non si sapesse e se l’approdo sul taumaturgico web fosse l’unica via praticabile per chi volesse continuare a fare questo mestiere.
Un miraggio che nasce dal diabolico intreccio di due equivoci.
Il primo è credere che “pubblicare” articoli da sè per sè e essere pagati per scriverli sia la stessa cosa, mentre è esattamente l’opposto: l’una è un hobby autogratificante, l’altra è un lavoro. E’ l’esistenza e la redditività del lavoro che ti consente di coltivare il passatempo. pensare che si tratti della stessa cosa è non solo una contraddizione, ma un suicidio economico-professionale.
Il secondo equivoco è credere che si possa continuare a fare i giornalisti e a autodefinirsi tali senza svolgere un’attività di tipo giornalistico. Ad esempio fare il blogger. O l’editore. O anche l’elettrauto.
Il risultato del doppio equivoco è che moltissimi giornalisti oggi non solo hanno un blog, il che in teoria farebbe di loro dei blogger (espressione priva di senso, come ho detto mille volte, ma per brevità taglio corto), ma sono convinti che averlo costituisca un’appendice, un prolungamento della loro professione. Una sorta di alternativa alla carta, che non c’è più, per “pubblicare“.
Ovviamente è un abbaglio anche questo.
Innanzitutto perchè, appunto, se lo fai gratis, l’attività non ha nulla di professionale. Poi perchè, se invece devi fare dei ricavi, sei costretto a una gestione delle informazioni e dei contenuti incompatibile con l’attività giornalistica. Anche peggio se poi il blog è registrato come testata (insomma non puoi fare l’editore/giornalista).
Ne consegue che il giornalista che ha un blog e che lo gestisce da blogger, cioè come uno strumento di marketing conto terzi o comunque come qualcosa di sottratto alle norme professionali del giornalismo, è uno che ha già smesso di fare il giornalista e, di fatto, ha ormai cambiato lavoro. Solo che non se ne è accorto.
Da qui la fondamentale domanda: è questo – cioè cambiare lavoro per (soprav)vivere – una vergogna, una deminutio capitis, un’umiliazione?
A me non pare affatto.
La chiamerei onestà verso se stessi.
Mi sembra più avvilente fingere di fare il giornalista senza farlo più. Allo stesso modo in cui i tanto vituperati blogger reclamano una funzione che non hanno nè possono avere (lo dice la legge, non io): quella di fare informazione senza chiare regole deontologiche da rispettare a garanzia della verità che raccontano.
Per tutto il resto c’è lo storytelling, quello che in Italia si chiama imbonimento ed è praticato dai blogger seri e dai giornalisti meno seri.