E’ mancato ieri a Firenze Valdemaro Casini, l’uomo più dotato di autoironia che io abbia mai conosciuto. E’ stato un grande, impertinente, buon compagno di avventure. A lui il mio saluto e il mio affetto.

Un collega l’aveva soprannominato, per la sua bonaria ma inesorabile impertinenza, “il Pierino di Dio”. Nomignolo che gli era garbato e di cui lui, sempre bonariamente, sorrideva compiaciuto. Gli si attagliava alla perfezione.
Celebri le sue domande-rompighiaccio alle conferenze stampa. Mai banali e sempre precedute da un “Sì, ma…” che spesso, giustamente, allarmava il conferenziante.
Ed era uno che le conferenze stampa le sapeva pure organizzare. Uno dei pochi che, da bravo professionista, le sapeva anche introdurre e condurre.
Entrammo subito in sintonia e principiammo a godere insieme dei non rari momenti di spasso che il nostro lavoro, sovente per caso, ci offriva accanto alle inevitabili grane.
Ci divideva una generazione e mezzo, ma ci univano un’amicizia e una stima che non sono mancate neppure quando, come è fatale nella vita, le circostanze fanno sì che ti frequenti meno, ti vedi meno, ti senti meno. Quasi per niente.
Eppure ci ricordavamo spesso a vicenda, memori dei tanti momenti belli passati insieme e di un’affinità che rendeva sottili, anzi nulle, le differenze di età, di esperienze, di punti di vista.
Avevo per caso saputo che era stato male e che era in ospedale, qualche mese fa.
Fu uno shock, perchè Waldy, come per scherzo lo chiamavo, era una di quelle persone che dai per scontato siano, come in effetti era, sempre attivo e in buona forma.
Corsi a trovarlo e lo vidi provato ma lucido, ironico, scherzoso come al solito.
Fu una lunga chiacchierata, lunga come non facevamo da tempo. Spaziammo tra tanti argomenti, come ci fossimo salutati il giorno prima.
Ci salutammo con la promessa di rivedersi appena lo avrebbero rimandato a casa.
Poi la degenza si allungò, il ritorno fu meno semplice del previsto, abbiamo rimandato, io sono partito, lui si è riammalato e, senza che lo sapessi, l’hanno ricoverato di nuovo prima di Natale.
Ci ha lasciato ieri, io l’ho saputo ora.
Vanno in fumo i propositi per l’anno nuovo e dico addio a un amico vero.
Non sto qui a tessere le sue lodi professionali, a cantare la sua prolificità letteraria (ha scritto decine di libri, non riusciva a fermarsi e aveva un’inventiva fuori dal comune), la sua profonda conoscenza di un mestiere che ha insegnato a tanti, me compreso, sebbene sia sempre stato fin troppo modesto. E sorridesse quando, all’epoca in cui dirigeva (fin dalla sua fondazione) “Civiltà dell’Amore“, la rivista mondiale delle Misericordie, lo chiamassimo “monsieur le directeur“.
Credo di non aver mai conosciuto un uomo della sua autoironia.
Fu grazie a lui, il quale in cambio di una semplice fotocopiatrice aveva riportato in Italia dall’ex URSS notizie sui luoghi di sepoltura di centinaia di soldati italiani dispersi in Russia (notizie pagate dalle autorità ufficiali italiane decine di migliaia di dollari), che feci uno dei miei primi scoop. Erano ancora i tempi di Montanelli.
Amava cucinare e invitare a cena gli amici, ai quali ammanniva di frequente piatti a base di tralci di vite colti nel suo giardino, tra i benevoli dileggi della moglie Graziella e dei figli Massimo e Patrizia.
Lui li lasciava fare, sogghignando sotto i baffi.
Era nato nel 1924. E siccome era un tipo pratico, ma non pragmatico, ha deciso di fare il grande passo proprio l’ultimo giorno dell’anno, per non lasciare le cose a metà.
Adieu, Waldy.