Degustazione con calice fai-da-te

Il Pellegrinaggio per una volta diventa Viaggio, ma il resto rimane identico. Identica soprattutto la dimensione del lungo camminare, che senza un’esperienza diretta resta qualcosa che nemmeno il più professionale e incallito dei viaggiatori può immaginare.

Trecentosessanta chilometri in dieci giorni non sono pochi. Anzi, sono decisamente tanti.
Complimenti quindi al pellegrino Marco Peroni che se li farà tutti.
Io, purtroppo, potrò fare solo alcune tappe (le due iniziali in verità le ho già fatte: dal Mercato di San Lorenzo di Firenze a Galliano e da Galliano a Madonna dei Fornelli: 75 km in tutto, più due passi appenninici da 900 mt, cioè la Futa, e da 1050 metri slm, una sfacchinata da non si dire), ma il senso dell’operazione rimane.
Quest’anno il Pellegrinaggio Artusiano (info qui e qui) non si chiama pellegrinaggio, bensì Viaggio. La novità è che grazie, a Confesercenti e a Vetrina Toscana, il percorso si allunga e l’ambasceria da compiere è istituzionale. Portare cioè, sempre simbolicamente, alcuni prodotti tipici della Toscana alla superkermesse milanese che parte (ammesso che parta) il 1 maggio.
Dell’Expo, naturalmente, si può pensare ciò che si vuole.
Ma del Pellegrinaggio, alias viaggio, no.
Almeno senza averlo fatto una volta.
Perchè il pellegrinaggio ha una sua mistica.
Innanzitutto è penitenziale, perchè espone a delle sofferenze fisiche non comuni, nè di breve durata. Fare una tappa è facile anche con le vesciche, farne più d’una lo è molto meno. Non arrivare è un’opzione non contemplata dal regolamento morale. Ognuno va del suo passo, ma siccome a cena e a pranzo si sta tutti insieme i distacchi abissali vanno evitati.
Il pellegrinaggio non è competitivo. Non c’è nessuna gara. Chi è arrivato per primo aveva più birra, nulla di più. La solitudine – dell’arrivo o del cammino – è un’evenienza. Non certo un piacere, nè un privilegio.
Il pellegrinaggio è contemplativo. Camminando si vede di tutto e si percepisce di tutto. Dall’inqualificabile immondezzaio che – te ne rendi conto solo se vai a piedi – come una striscia di lercio costeggia le scarpate di qualsiasi strada all’incredibile varietà di portoni, finestre, terrazzi, balconi e inferriate che si affacciano su vie percorse milioni di volte, ma col volante in mano.
Il pellegrinaggio è conviviale. E simposiaco. Qualunque sia lo stato delle membra, nulla priverà il pellegrino delle abbondanti libagioni e dei piaceri artusiani della cena di fine tappa.
Ora, con sottile invidia, seguo i miei compagni d’avventura battere la via Emilia in attesa di unirmi di nuovo a loro.
Uno canta Gaber e mette pure il video su FB.
Primi effetti melico-onirici?