L’Accademia della Crusca pubblica “Le parole di Firenze”: opera rigorosissima, che non solo riporta 900 tra voci e espressioni veraci raccolte “sul campo”, ma le spiega e le contestualizza in ampi stralci di “parlato”. Costa solo 25 euro e si compra on line (qui).

Come titolare di 4/4 di sangue toscano nelle vene da almeno quattro generazioni, mi sento autorizzato a dire, forse sollevando in molti non corregionali una qualche sorpresa, che, all’orecchio domestico, il nostro accento appare sempre insopportabilmente sbracato, becero e fastidioso.
Insomma, trovo incomprensibile l’ammirazione e la simpatia che i non toscani mostrano per la nostra favella, sia essa considerata un dialetto, un vernacolo o un’inflessione.
Ancora più insopportabile è poi quella sorta di finta koinè cinematografica portata al successo dai vari Pieraccioni, Ceccherini eccetera. E che desta in me (e spero in tutti i veri toscani) la più totale repulsione.
Ma è del primo che voglio occuparmi, cioè del vernacolo vero.
Il motivo per il quale il toscano (con tutte le sue infinite varianti geografiche, perfettamente distinguibili dai nativi) suona a noi stessi così volgarotto e agli altri divertente (ma comunque volgarotto) è semplice: è effettivamente volgarotto.
O meglio: è buffo anche quando è serio, risulta allusivo anche quando non allude. E la calata, cioè la modulazione della voce, non aiuta. Con l’aggiunta che, nonostante tutti gli abusi, rimane anche una lingua reale, viva, parlata correntemente per le strade e nelle case.
Gli esempi si sprecano e finiscono tutti per galleggiare nel pecoreccio.
A Firenze, se si intasa il lavandino, la signora chiama l’idraulico, che però lì è detto “trombaio”: e quindi si dice che “la signora ha chiamato il trombaio a casa“, con inevitabili ammiccamenti. A Siena “lezzo” non significa affatto sporco, ma nervoso o irritato. Ne deriva la frase “oggi mi sono alzato parecchio lezzo“, che indubbiamente si presta a qualche equivoco. E così via.
Da qui la facile immagine caricaturale e un po’ indolente di cui chi è nato in Toscana, e soprattutto ne parla la lingua, soffre a prescindere. Anche quando è serissimo e discetta di cose altrettanto serie.
A spiegare che, almeno a Firenze, il lessico locale e quello italiano non sempre coincidono ci prova ora un godibilissimo e al tempo stesso rigorosissimo volume appena pubblicato dall’Accademia della Crusca, cioè la massima autorità in materia di lingua italiana: “Le parole di Firenze – Dal vocabolario del fiorentino contemporaneo” (460 pagine, 25 euro).
Si tratta di una silloge di circa 900 voci ed espressioni raccolte attraverso decine di interviste compiute “sul campo” in alcuni dei più veraci quartieri cittadini (i centrali San Frediano e Santa Croce e l’ex quartiere operaio di Rifredi). Si badi bene: non è un semplice elenco, ma un insieme ragionato di termini che vengono tanto spiegati quanto contestualizzati, affiancati cioè da ampi stralci di “parlato” che aiutano a capire meglio il senso e perfino il tono dell’espressione.
Per maggiore chiarezza ne riporto uno, preso a caso.
Bìschero
sost. maschile e aggettivo
(di) persona stupida, a cui puoi fare credere qualsiasi cosa
> bòcco
Ah, i’ bischero l’è una persona… come si pò dire? bòcca, di chelle che gli danno ad intender ugni cosa, capito come? Queste persone che… : Quello l’è un bischero, vedi, tu gli da’ ad intendere icché tu voi! Ecco. Capito? Una persona un po’… In qui’ caso un posso parlà di giustizia: sono troppo bono! E a Firenze tre volte bono l’è bischero! I’ balordo gl’è peggio di’ bischero, secondo me. I’ bischero è, è un coglione, poerino… come dice i’ proverbio? I bischeri li rifiuta… Aiutati che Dio t’aiuta, i bischeri li rifiuta… c’è un proverbio che Dio i bischeri li rifiuta!
Alla fine il tomo, che costituisce la prima uscita a stampa del più ampio progetto pluriennale dell’Accademia sul Vocabolario del Fiorentino Contemporaneo, risulta ben altro dell’opera da sfogliare a fini goliardici che sulle prima si potrebbe pensare. E’ anzi un lavoro scientifico a tutti gli effetti, curato da ricercatori di altissimo rango e prestigio.
“Accademico”, quindi.
Ma anche una lettura da compulsare, che assorbe e conquista come un romanzo, grazie alla freschezza dell’impianto e all’autenticità delle voci e delle testimonianze prescelte. Tutte capaci di scivolare via dalla carta e di riportarti presto per strada, da dove sono venute.