di ANDREA PETRINI
Poggio ai Chiari 2004 Colle Santa Mustiola: un Sangiovese di gran nerbo da un’area “sorprendente” della Toscana come Chiusi e la storia di coraggio di Fabio Cenni tutta da raccontare.

 

Se parliamo di Sangiovese toscano, inevitabilmente la nostra mente si dirige verso importanti e storiche denominazioni come il Chianti Classico, il Brunello di Montalcino, il Nobile di Montepulciano, proseguendo poi verso la zona del Chianti, con le sue mille sfaccettature, e il Morellino di Scansano.

Nessuno o quasi indicherebbe la terra dove gli Etruschi, abili viticoltori, fondarono “Clevsin”, l’attuale Chiusi, una zona oggi altamente vocata per la coltivazione del Sangiovese. Varietò che grazie a Fabio Cenni, proprietario e fondatore di Colle Santa Mustiola, sta acquisendo nuova luce e ritrovandoi fasti di un passato troppo lontano.

Cenni, desideroso di valorizzare sia il patrimonio vitivinicolo della zona che la vecchia azienda familiare fondata dal nonno a inizio ‘900, duranti i primi anni ’80 decide di dedicarsi a tempo pieno all’attività di vignaiolo, andando prima a recuperare e studiare il materiale aziendale e poi ripropagando le piante migliori del Sangiovese presente nei vecchi vigneti.

La ricerca e le prove di quegli anni hanno dato i loro frutti nel 1992, quando Fabio impiantò nuovi vigneti con 28 cloni di Sangiovese, di cui cinque a piede franco.

Oggi gli ettari vitati sono circa cinque, su terreni pleocenici con depositi alluvionali ad un’altitudine di 320 metri  tra Chiusi e i “Chiari”, ovvero di Chiusi, Montepulciano e Trasimeno.

Proprio prendendo spunto dal nome questi specchi d’acqua Cenni fa nascere il Poggio ai Chiari, il primo vino prodotto in azienda. Nato da lieviti, affina per 66 mesi in parte in barrique di rovere francese e in parte in botti di rovere di slovenia da 20 e 30 hl. L’affinamento in bottiglia prima dell’immissione in commercio è di almeno 24 mesi .

Ne ho degustato l’annata 2004.

Il colore, se può avere una valenza qualitativa, non è affatto quello di un vino di 22 anni: è ancora rosso rubino e, ciò che per me è importante, è ancora luminoso così come smaglianti e complessi sono i profumi che fuoriescono dal bicchiere.

Il sipario olfattivo – diretto, preciso e che grida Sangiovese – è disposto su note di pot-pourri, ciliegie in confettura, melograno, tabacco da pipa, legno di cedro, rabarbaro, ginepro e salmastro.

All’assaggio si conferma ancora assolutamente integro e dinamico, con un abbrivo succulento e quasi mediterraneo che condivide la scena con tannini maturi incalzati da vibrante freschezza. Netta la percezione sapida che amplifica l’imprinting dell’assaggio e rimane impressa a lungo nella memoria.

Nota tecnica: il vino viene vinificato attraverso l’uso di lieviti spontanei ed affina 66 mesi in barrique di rovere francese e parte in botti di rovere di slovenia da 20/30 hl. Successivo affinamento in bottiglia per minimo 24 mesi prima dell’immissione in commercio.

 

www.poggioaichiari.it

 

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