Le sessioni del Festival del Giornalismo di Siena (15-17 giugno) saranno aperte pure al pubblico. Non è una cosa banale: mostrare e spiegare all’esterno la nostra professione è necessità impellente.
Giorni fa ragionavo sul fatto che, come altre iniziative consimili, anche la seconda edizione del Festival del Giornalismo di Siena (15-17/6/2023, il programma sarà pubblicato a breve sul portale formazionegiornalisti.it: in palio ben 23 crediti per la formazione professionale, dei quali 12 deontologici, ed un corso co-organizzato dal sottoscritto su “Vino e territori, una questione di informazione, cultura, qualità, sicurezza: l’importanza del sistema italiano di tutela“) sarà aperta agli ospiti, ovvero al pubblico dei non giornalisti, curiosi di capire come funzionano certe cose “dentro” al mondo della stampa o interessati ai temi affrontati in quei dibattiti riservati in apparenza ai soli addetti ai lavori.
Non è una cosa da poco.
Sia perchè è assai diffuso (a volte a ragione e a volte meno) l’interesse popolare verso le presunte sacre stanze del misterioso, si fa sempre per dire, ambiente del giornalismo. Sia, e ciò dalla nostra prospettiva mi pare assai più rilevante, perchè si tratta di un’opportunità ghiotta per capovolgere i punti di osservazione e provare a vedere, noi giornalisti, quale sia il reale stato d’animo, l’approccio col quale la gente assiste ai dibattiti sulle nostre questioni o al nostro modo di affrontare certe tematiche.
Uno dei problemi della categoria è infatti quello di vivere sovente in una bolla, ove tutto è dato per scontato e i meccanismi, anche logici, sono dati non solo per automatici, ma per unidirezionali.
Ovviamente, invece, se osservato dal di fuori lo scenario cambia parecchio. Sia in termini di aspettative, sia in termini di percezione e perciò di comprensione.
Mi chiedo allora se in occasioni come quella senese del prossimo giugno non sarebbe addirittura il caso di far precedere ogni sessione da cinque minuti di “spiegazioni” destinate ai non-colleghi, per mettere in grado costoro di cogliere e inquadrare meglio i discorsi che ascolteranno.
E’ un’idea forse balzana, ma considerando gli sfasamenti, se non gli equivoci e le diffidenze sempre più frequenti che si riscontrano tra il nostro mondo professionale e il mondo reale, aprirsi alla conoscenza collettiva potrebbe contribuire parecchio a trarci da un impaccio comunicativo ogni giorno più evidente quando si tratta di spiegare la natura di questo lavoro, le sue funzioni e le sue prospettive.