Come temuto, la prima lezione del corso di “autoimprenditoria giornalistica” organizzato da OdG toscano e Cciaa di Firenze si è arenata su un punto-chiave: “Può il giornalista esercitare l’impresa e come?”. Secondo noi, non può. A meno che…

 

Rimando al mio post delle settimane scorse (qui) per un approfondimento delle irrisolte questioni preventive che, a mio parere, sono state la causa del lungo e dispersivo dibattito in cui si è diluita una buona metà della prima delle cinque giornate del corso di “autoimprenditoria giornalistica” organizzato questo mese e il prossimo da OdG Toscano e Cciaa di Firenze.

E sintetizzo il tutto in un interrogativo: la creazione e l’esercizio di una teorica “impresa giornalistica” o editoriale sono compatibili coi pilastri deontologici della nostra professione così come delineati dalla legge istitutiva dell’Ordine? E’ cioè possibile esercitare la nostra professione in modo imprenditoriale?

A mio parere, no.

Se infatti apparentemente nulla lo vieta – almeno a un giornalista pubblicista, vigente l’obbligo di esclusività della professione imposto ai professionisti e comunque il divieto generale di conflitto di interessi, il che vuol dire però, vista la natura del nostro mestiere, praticamente sempre nel caso di “auto” imprenditoria… – in realtà si arriverà sempre a un momento, quello appunto della nascita del conflitto, in cui si dovrà comunque scegliere se cessare l’attività giornalistica per abbracciare la nuova o rinunciare a fare l’imprenditore. Tertium non datur.

Sia chiaro che non lo affermo io gratuitamente, ma lo desumo da ciò che dicono (e secondo me a ragione) le norme in vigore, anche a prescindere da qualunque sia la forma (ditta individuale, società di persone, società di capitali, etc) prescelta per l’esercizio dell’impresa.

Indurre a credere il contrario i molti colleghi che, nella speranza di individuare nuovimodelli di business“, e quindi forme nuove e diverse di procacciamento di un reddito giornalistico altrimenti scomparso, hanno deciso di frequentare il corso, significa creare false aspettative e produrre il rischio di copiosi quanto perniciosi abbagli.

Durante la lezione più d’uno in verità ha rimarcato, non senza qualche ragione, che la normativa in parola è sotto molti aspetti obsoleta (sul piano etico, però, direi di no) e che in generale essa andrebbe riformata, ma si tratta di riforme che spettano al Parlamento, non all’Ordine (le si attende invano da almeno trent’anni), e per le quali al momento non si vede alcuna prospettiva: è quindi inutile perdersi in condizionali e su come il mondo del giornalismo ideale “dovrebbe essere”.

Da qui anche un certo, inevitabile imbarazzo dei docenti e l’umanamente comprensibile sconcerto, quando non irritazione – quasi che qualcuno volesse negare loro dei diritti – di alcuni presenti, che talvolta però si sono dimostrati pure un po’ digiuni di abc professionale.

E stupisce quindi ancora di più, comunque e ancora una volta, che certe considerazioni di fondo non siano state fatte prima, nelle opportune sedi di vaglio, e ci si debba trovare a farle ora, nel durante.

Va comunque aggiunto, per completezza, che anche sotto il profilo più tecnico-giuridico la materia soffre di ulteriori punti dubbi.

Come si armonizza, ad esempio, la corrente disciplina dell’esercizio del giornalismo con quella delle cosiddette STP (società tra professionisti, una figura del diritto societario introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 10 della legge 183 del 2011), espressamente citate durante il corso come una delle ipotetiche forme di esercizio dell’autoimprenditoria giornalistica, nel momento in cui la norma chiarisce che i redditi generati dalla stp (la quale è a tutti gli effetti un’impresa) rimangono nell’ambito di quelli da lavoro autonomo?

Questo tanto per citare solo una delle tante incertezze che avvolgono la normativa sulle STP. Che non a caso, a otto anni dalla loro nascita, restano uno strumento societario a cui ovunque si ricorre pochissimo e, ci risulta, quasi sempre con esiti infelici.

Ecco dunque che lo sbandierato miraggio dell’autoimprenditoria minaccia di trasformarsi in un ulteriore ginepraio nel quale la già claudicante professione giornalistica rischia di restare impigliata mentre lotta per la sopravvivenza.