Polvere di un’anteprima: un carnevale, un’influenza e due appuntamenti saltati dopo. Disertati causa morbo, ahimè, Nobile e Brunello, sfoglio l’album dei ricordi del primo giorno alla Leopolda. E mi rendo conto che…

Lo ammetto: ho sperato fino all’ultimo che il mio amico Giuseppe Liberatore, compuntissimo direttore della corazzata Chianti-Classico, si presentasse al party carnascialesco della Collection alla Leopolda mascherato da drag queen altopiumata. Sarebbe stato un evento.
Ma le mie speranze, ahimè, sono andate deluse: ancorchè rilassato e sorridente, Peppino ha sfoggiato solo qualche piuma rossa d’ordinanza sull’inappuntabile completo da manager.
Pazienza.
Aveva di che sorridere, del resto: l’anteprima 2015 del Gallo Nero, per la circostanza coincidente con l’ultimo di Carnevale, era andata come al solito benissimo sotto il profilo organizzativo.
E pure sotto quello comunicativo, direi.
Il messaggio veicolato quest’anno dai produttori era “Together“, cioè “tutti insieme”, come dire tante identità, origini, idee, modi di essere, stili uniti sotto un unico e unificante ombrello, quello del terroir chiantigiano.
Allo slogan è anche stato abbinato un breve talk show dimostrativo in cui un pugno di assai eterogenei vignaioli del Gallo Nero è stato chiamato a raccontarsi in tutta la sua condivisa varietà, nel nome di un’unità di fondo che, esteriormente, è difficile da negare.
Pensavo a tutte queste cose mentre, con sempre maggiore perplessità, un’ora dopo assaggiavo alla cieca i 53 campioni di “Gran Selezione” (tra 2011, 2010 e 2009) presenti in degustazione.
Vini ottimi, in alcuni casi eccellenti. E anche fortemente identitari.
Identitari nel senso, però, di essere contraddistinti dal medesimo, dominante, tecnico anonimato.
Insomma, nei Gran Selezione bevuti quest’anno, come del resto (e ciò è un’aggravante) in quelli sentiti l’anno scorso, del “pluralismo” di anime e stili propugnato nello slogan non c’è traccia.
Anzi, c’è il contrario: una palese convergenza verso l’omologazione. Perfino nei colori, tanto vicini da apparire seriali.
Intendiamoci: come già hanno rilevato anche altri colleghi, tranne rarissime eccezioni pur io ho trovato prodotti tecnicamente ineccepibili, bei vinoni di gran corpo perfetti per il gusto internazionale. Ma il Sangiovese? Le note vibranti? Le anomalie, le asimmetrie, la mano, la nouance che rendono un vino meritevole di ricordo, che ti marcano, che spiccano magari anche in negativo, ma rendono l’assaggio diverso dalla media?
Ahimè, nessuno o quasi.
Insomma, alla fine alla festa in maschera del Chianti Classico i più in maschera – in maschera da Chianti Classico – erano i Gran Selezione. Quelli che dovrebbero rappresentare il massimo, il non plus ultra, l’espressione più alta, la verità di un territorio dalla vocazione altissima.
Ora, capiamoci: i produttori e la loro organizzazione hanno tutto il diritto di perseguire strategie e disegni commerciali rivolti, è ovvio, all’ottimizzazione economica dei loro sforzi. Perfettamente legittimo, se su scala planetaria e anche geopolitica (riassorbimento dei supertuscans) i conti tornano. E anzi tanto di cappello a chi riesce a tramutare i progetti in fatti.
Spero tuttavia sia riconosciuto legittimo anche il mio diritto di modesto osservatore a rilevare certe contraddizioni e a segnalarle per quello che sono, senza volerci veder dentro per forza, da parte mia, chissà quale certa volontà ostile o eversiva che, casualmente, ho orecchiato nella voce di qualcuno a cui ho esposto de visu il problema.
Ah, dimenticavo: senza star troppo a perdere tempo in voti, che poi finiscono per strangolare il vino, tra i Gran Selezione quelli che ho nettamente preferito per personalità sono stati:

2011

283) Barone Ricasoli, Castello di Brolio
287) Castello di Ama, San Lorenzo (il migliore dell’annata)
288) Castello di Ama, Vigneto La Casuccia
296) Castello di Volpaia, Il Puro
304) Il Palagio di Piccini Monia, Le Bambole

2010

319) Antinori, Badia a Passignano
325) Felsina, Colonia
326) Ormanni, Etichetta Storica (il migliore dell’annata)

2009

333) Castello di Cacchiano, Millennio