Dove oggi è cominciato il Festival del Giornalismo, aperto proprio da un convegno sullo stato della “sopravvivenza dei giornalisti”. I toni? Sfumati. Se per effetto della rassegnazione, della presa d’atto o delle imminenti elezioni OdG è ancora da scoprire.

Di persona si parla meglio. Dopo essersi conosciuti, meglio ancora. A tavola, poi, si mollano gli ormeggi e spesso tutto finisce a tarallucci e vino. O a spaghetti cacio e pepe, come oggi, a Perugia, fra alcuni reduci del convegno di apertura del Festival del Giornalismo (il programma completo qui).
Un convegno dal titolo intrigante, “Il barcamp della sopravvivenza dei giornalisti” e verso il quale nutrivo, preannunciate, opposte aspettative: da un lato il timore di sentire le solite, giustissime ma scontate cose sulla dolorosa esistenza della categoria, dall’altro (come avevo sottolineato qui), la speranza che si trovasse il modo di farsi qualche domanda un po’ più scomoda. Del tipo: quando diciamo “noi”, questi “noi” chi sono? E quando si invoca la riunione degli “stati generali dell’informazione precaria“, questi stati quali sono? Chi li rappresenta? Come si articolano l’un l’altro?
I timori si sono rivelati più fondati delle speranze. Esperienze personali, qualche appello, aggiornamenti più o meno sconfortanti sui temi caldi, anzi ormai direi un po’ intiepiditi, di questi mesi, come l’equo compenso e la Carta di Firenze. Ecco perchè ho evitato di prendere la parola: avrei anch’io detto cose già dette.
Anche se, devo ammetterlo, rispetto ad altre e non lontane occasioni ho trovato in generale più consapevolezza (o rassegnazione?) del previsto. Lamentele fini a se stesse quasi zero. Un certo disincanto. A volte perfino sarcasmo. Tutto un po’ velato o sfumato, non so se per maturità o per tattica, visto che le elezioni ordinistiche sono imminenti e che, inutile negarlo, anche la kermesse perugina e la galassia che le ruota attorno, convegno odierno incluso, ne risentono eccome.
La discesa in campo, più o meno elettorale, dei coordinamenti dei precari è ormai, al di là della permanente confusione concettuale che aleggia intorno all’espressione, una realtà “politica” con cui lo stagnante ordinamento giornalistico e le sue compagnie di giro dovranno presto fare i conti. Perchè la gente è tanta. E se si muove, muove anche parecchi voti.
I signori dei santini sono dunque avvertiti. Quelli delle cellule, idem.
La cosa più bella e personalmente più gratificante me l’ha detta, a fine convegno, una collega: “Oggi, dopo un anno, sulle questioni professionali ti do molta più ragione di quanta non te ne dessi prima“.
Chiamatemi, se volete, Cassandra.