L’editore di una rivista vinicola è stato condannato a pagare un risarcimento milionario a un produttore di Barolo che si era risentito per le critiche ricevute, ritenute “offensive”. Domanda: il giornalista deve essere sempre e comunque “onesto e spietato”? O si può esserlo anche senza offendere? Ecco la mia opinione. Ovviamente fuori dal coro.

Sta facendo il giro della rete, e dei blog vinicoli in particolare, una vicenda riportata giorni fa da La Stampa (qui): “La critica enologica può costare cara”. In sintesi si racconta di come e perché un produttore di vino, sentitosi offeso per i toni e gli aggettivi usati da un critico che aveva stroncato il suo Barolo, ha chiesto i danni all’autore dell’articolo e, dopo 15 anni di causa civile, ha vinto.
Seguono milioni di commenti, incluse le inevitabili, conformiste, politicamente corrette levate di scudi contro il “bavaglio alla stampa” e gli attentati alla libertà di opinione, con fatali evocazioni costituzionali.
Ebbene, io invece lo dico chiaro (e parla uno che è notoriamente incline a una certa violenza verbale): secondo me ha ragione il produttore.
Non mi riferisco al caso in ispecie ovviamente, che non conosco nei dettagli, ma al principio.
Ovvero: posso benissimo fare il mio mestiere di giornalista parlando male e perfino malissimo di un vino, un film, un libro, un ristorante, un prodotto, un uomo politico o un funzionario senza offenderlo. Se lo faccio, manco a uno dei miei doveri professionali: l’equilibrio e la consapevolezza del mio ruolo. Che vanno di pari passo con quelli, altrettanto importanti, di ricerca della verità e di verifica delle fonti.
Mi si dirà che il confine tra l’insulto e l’espressione “forte” è sottile e difficile da individuare. Vero. Ma proprio e anche in ciò sta la professionalità del recensore: saper calibrare i toni in considerazione di tutto quanto ho di fronte, cioè contesto, palcoscenico, contenuto, contenitore, pubblico, situazione. Senza con ciò limitare la propria critica.
Posso perfettamente rendere l’idea dell’ignoranza di uno scolaro che sbaglia apostrofi e congiuntivi dandogli tre e dicendogli che è un asino. Nessuno si offenderà (e se si offende, peggio per lui). Se invece riunisco tutti gli alunni dell’istituto in cortile per dirgli pubblicamente che è anche un cretino, un imbecille, un subnormale, un mentecatto, un delinquente tendenziale e un figlio di buona donna (eufemismo) forse la cosa cambia.
Lo stesso vale se giudico qualcosa come giornalista.
Lo so perfettamente che la scelta del lessico, la capacità di pungere, la spietatezza “pagano”, cioè attirano da un lato il lettore e sostengono dall’altro la tua reputazione di critico. Non a caso io stesso ne faccio abbondante uso, attirandomi così in pari misura odii e consensi. Ma c’è un limite da non superare mai. E’ un limite elastico, lo so, come sono elastiche però anche le diverse situazioni in cui capita di doversi esprimere a proposito di qualcosa. Un conto è se in una cena privata, o perfino pubblica ma relativamente ristretta, tra colleghi e addetti ai lavori che sono in grado di attribuire alle mie parole il giusto senso e peso, dico che un certo vino è “velenoso” o “fatto con le bustine”. Un altro è se, nero su bianco, faccio stampare il mio giudizio su un giornale letto da decine di migliaia di persone che nulla sanno di me, né del senso e del contesto in cui lo ho espresso. Al momento di giudicare ho quindi il dovere (ripeto: professionale prima che morale) di tenere conto di tutto questo.
Intendiamoci, sono il primo difensore della libertà di stampa e del ruolo fondamentale che ha l’informazione nella circolazione delle notizie, incluse quelle critiche. E sono il primo ad opporsi a un certo disinvolto uso della carta bollata introdotto da un po’ di tempo da qualcuno, magistrati in testa, come strumento intimidatorio contro i giornalisti. Ma non credo neppure che, come tali, si possa pretendere di ergersi su un gradino di impunità e di liceità superiore agli altri. Altrimenti ci ridurremmo al rango di certi bar sport che spopolano sul web e sui quali, sempre più spesso, si abbattono querele e cause milionarie.