VIAGGI&PERSONAGGI di Federico Formignani
Il caos di Guwahati, il suo miscuglio etnico, il dolce paesaggio delle piantagioni di thè nero, l’impronta del piede di Krishna. E sullo sfondo il Brahmaputra, il fiume più alto (e più largo) del mondo.

 

Sarà perché gli anni scorrono veloci e l’inconscio carica la mente di ricordi di viaggio, certo è che riviverli – come in questo caso – fissandoli sulla carta per meglio assaporarli, rende la tarda età più accettabile. Pagato il tributo agli anni che passano, è evidente che anche il luogo qui ricordato è stato visitato diversi anni fa (2001); ma trovo consolante descriverlo al presente rendendo vivo l’incontro con le persone che ho conosciuto, riviste mentalmente grazie ai brevi appunti scritti sui biglietti da visita o nei block-notes. Come nel caso di Balendra Basumatary (grassoccio, carnagione chiara, baffetti e capelli nerissimi, simpatico, logorroico) direttore del Turismo del Governo dell’Assam, che mi riceve nel suo ufficio di Guwahati fra un mare di scartoffie e un incredibile numero di ventilatori che spostano con fatica l’aria umida e pesante di questa città. La sede è nella trafficatissima arteria Asom Paryatan Bhavan, ma alcune finestre – compresa quella di Balendra – hanno la fortuna di affacciare sul piccolo fiume cittadino chiamato Borsola Beel; un rigagnolo in mezzo al verde che, mi spiega il direttore, dopo un zigzagante itinerario fra vie e case cittadine finisce per confluire nell’imponente Brahmaputra.

Fra uno spuntino e l’altro (più di Balendra che mio), accompagnati da tè in abbondanza, il vulcanico Balendra vuole far precedere la preventivata visita alla città da una breve storia della stessa. Superato l’attimo di panico (l’inglese di Balendra è un continuo saliscendi di parole pronunciate a mitraglia) mi adeguo di buon grado, rifugiandomi nell’ennesima tazza di tè.

Guwahati, spiega il direttore, si sviluppa lungo la riva meridionale del Brahmaputra, pur avendo, al di là del grande fiume, un altro centro abitato chiamato North Guwahati. Curiosa è l’origine del nome della capitale di fatto dell’Assam. Le due parole che lo compongono (Guwa “noce di betel” e Hatt “mercato”) testimoniano che il luogo, situato fra colline e vallate, fungeva da centro di raccolta e vendita di questo prodotto e di moltissimi altri che la fertile terra della zona offriva.

Balendra fa notare che in quest’area, come nell’intero sud est asiatico, le foglie di betel, unite alle noci di areca, vengono abitualmente masticate, determinando alla lunga assuefazione in chi le usa. Un altro “nome” di Guwahati è quello di Pragiyotishpura (luce dell’est) antico centro di culto tantrico. Per quanto si riferisce infine al re demone Narakasura, lo stesso viene indicato come edificatore della città, che diventa così anche luogo “magico”. Di fatto, conclude Balendra, questa parte di Assam è quella che ha accolto e amalgamato, da tempi assai lontani, diverse razze. Qui sono convenute dall’est popolazioni mongole che hanno incontrato gli indo-ariani dell’ovest, popoli che a loro volta si sono mescolati con i dravidici dell’emisfero australe. Sotto il profilo antropologico, quindi, le facce che si vedono nella regione sono la risultanza di tali profondi miscugli etnici.

Lascio il direttore alle sue incombenze giornaliere e con una guida-autista visito la capitale dell’Assam che ha, nel vicino centro di Dispur, la capitale amministrativa dello stato. Guwahati è una città viva e fortemente caotica, trafficatissima, con oltre un milione di abitanti. Possiede alcuni bei templi, meritevoli di essere visitati ed è verso quelli che ci dirigiamo. Il più noto è il Kamalhy Temple, sulla cima della collina Nilachal, che attira vere folle di pellegrini specie in occasione dell’Ambubashi, festa religiosa che coincide con il culmine della stagione monsonica, in giugno. Altro tempio notevole è il Bhuwaneshwari, anch’esso in posizione elevata rispetto al fiume. Ve ne sono poi altri che presentano differenti motivi d’attrazione, come il Navagraha, prossimo al centro storico, che è anche luogo di studio per l’astrologia e l’astronomia, tant’è vero che l’edificio è stato dedicato ai nove pianeti. Quello che comunque colpisce maggiormente la fantasia dei visitatori è il tempio di Umanando, dedicato a Shiva e situato su una piccola isola del Brahmaputra: Peacock Island. È meta di visite devote ma anche occasione per piacevoli gite in battello sul grande corso d’acqua. Nel centro storico di Guwahati, Ambari, si trova il Museo di Stato dell’Assam e interessanti sono anche i Giardini Botanici e l’Erbario. Per mezzo di un ferry o attraverso il ponte Saraighat si arriva a North Guwahati. Cosa vedere, in questa quieta e storica cittadina? Altri graziosi templi ma soprattutto, in prossimità di quello di Ashwakranta, l’impronta del piede di Krishna, scolpita su una roccia a bordo fiume e oggetto di profonda venerazione da parte dei locali. Al ritorno in città, un giro fra i mercati alla ricerca di stoffe, oggetti in metallo e bambù; nel Paltan Bazar e anche altrove c’è solo l’imbarazzo della scelta.

È un altro giorno e il tragitto volge a est, sempre più a oriente, lungo l’imponente vena liquida del Brahmaputra, incredibile universo acquatico. Arriva dai remoti altipiani del Tibet e per un lunghissimo tratto del suo percorso è il fiume più alto della Terra dato che scorre, da ovest verso est, sui quattromila metri d’altitudine. Poi comincia a scendere, compiendo un vorticoso giro su sé stesso, puntando verso sud ovest e in territorio cinese si infila in un profondissimo canyon. Quando entra nell’Assam, non gli par vero di potersi espandere a dismisura nella fertile e vasta conca naturale che, divenuta in seguito grande pianura, accoglierà altre acque di grandi fiumi; il Gange su tutti. È in questo contesto paesaggistico e climatico più che favorevole, da media alta valle, che si trova uno dei due “beni” fondamentali (l’altro è il petrolio) dell’Assam: le immense, gradevoli alla vista e verdissime piantagioni di tè. “Quello dell’Assam – spiega Dilip Baruah, che si occupa dello sviluppo turistico della regione e che mi accompagna – è il tè nero, sostanzialmente differente da quello verde della Cina”. Sono piantagioni molto vaste, di centinaia di acri, a ricoprire colline e vallate. Il panorama è di una dolcezza unica e continua per chilometri e chilometri; i campi sono punteggiati da alberi che filtrano i raggi del sole, favorendo zone d’ombra e di luce, completate dalle masse brunite dei cespugli di tè. Il verde diffuso, dicono i locali, è un vero sollievo fisico per la vista; la quiete e l’aria pura che si respira all’interno delle piantagioni, un vero balsamo per lo spirito. I colori contrastanti sono dati dagli abiti multicolori delle raccoglitrici, che non di rado accompagnano con canti le varie fasi del lavoro di raccolta delle preziose foglioline.

Ogni “giardino-del-tè” dell’Assam – mi dice Dilip – vanta una propria storia, fatta di lavoro duro e di personaggi leggendari, quali ad esempio Maniram Dutta Barua, un nobile assamese che insieme ad alcuni britannici diede inizio alla coltivazione su larga scala del tè, agli inizi del diciannovesimo secolo“. Fra i molti bungalows e preziosi edifici costruiti nelle piantagioni, quale centro di organizzazione e raccolta del tè, spicca la Thengal Mansion di Jorhat, nell’Assam superiore. Appartenuta alla famiglia Barooahs, questa magnifica villa, dotata di stanze e locali illuminati da ampie vetrate e immersa in un vero paradiso di piante e fiori, è da tempo uno degli hotel più esclusivi della zona di Jorhat. La Assam Company, fondata nel 1839, è oggi la prima compagnia mondiale per la produzione e la commercializzazione del tè. E tutti, nell’Assam, non hanno dubbi su quale sia, nel mondo, il tè qualitativamente migliore. Me lo ricorda Dilip Baruah, il cameriere in guanti bianchi che ci porta la bevanda e il direttore dell’elegante Thengal Mansion.