di ANDREA PETRINI
Lo storico ristorante in Trastevere della famiglia Panella festeggia il secolo di vita con un libro di storia e di ricette. E Francesco Panella ci parla di cucina romana sulle due sponde dell’Oceano.

 

Cento anni sono un traguardo importante e vanno festeggiati nel modo migliori possibile, soprattutto se a compierli è uno dei ristoranti più storici di Roma come l’Antica Pesa, gestita da quattro generazioni dalla famiglia Panella. Situato nel cuore di Trastevere, è una vera e propria istituzione: la sua storia inizia nel XVII secolo, quando nell’attuale Via Garibaldi c’era la dogana grano. Qui i doganieri realizzarono una vera e propria taverna, luogo di accoglienza e di solidarietà.

Bisogna comunque arrivare al 1922 e alla prima generazione dei Panella per la vera e propria svolta: la taverna viene riconvertita in una verace trattoria che utilizza le produzioni della campagna romana per cucinare i piatti della tradizione. Per il locale scelsero un nome emblematico, in memoria delle origini: Antica Pesa.

E’ però negli anni ’50, con la Dolce Vita, che l’Antica Pesa diventa un punto di riferimento per tutti coloro che desiderano immergersi nella vera romanità. Artisti, scrittori, attori, registi, mescolata a gente comune, turisti e non, vi si danno appuntamento per gustare i sapori e l’atmosfera genuina. Negli anni seguenti la trattoria resta fortemente legata al territorio, ma comincia anche ad aprirsi alle novità.

Oggi l’Antica Pesa, gestita dai fratelli Simone e Francesco Panella, reinterpreta e innova la propria vocazione.

Lo racconta un libro, “100 anni di cucina romana nelle ricette e nella storia dell’Antica Pesa” (Newton Compton, pg 192, 16 euro), che nella parte storica, grazie ad approfondite ricerche d’archivio, ricostruisce le vicende del locale, rivelando ad esempio che la prima citazione scritta risale al 1871: ne “Il Volontario di Pio IX”, scritto da Antonmaria Bonetti, si narra infatti di quando l’autore aveva il collega e amico soldato proprio seduto alla tavola dell’Osteria della Pesa, intento a “mangiare mezzo pollastro arrosto”.

La seconda parte del volume, invece, è dedicata alla cucina dell’Antica Pesa e consta di 40 ricette, spiegate nel dettaglio per essere replicabili a casa, coi i piatti più rappresentativi susseguitisi nel ristorante nel corso di questi cent’anni.

E’ insomma il racconto a 360° della passione per la cucina della famiglia Panella, pieno di foto e di aneddoti.

Per parlarne ho intervistato Francesco Panella.

Cosa è per te questo ristorante?

L’Antica Pesa non è solo un ristorante, ma è un luogo di ospitalità fin dall’800. Quando siamo entrati noi, nel ’22,  non abbiamo fatto altro che imparare al meglio come accogliere chi passa a trovarci. In questi cento anni ci sono stati momenti belli e meno belli come, due guerre e tre pandemie, ma noi non abbiamo mai mollato. Per tanti motivi.

Quali?

Abbiamo nel DNA un forte spirito di accoglienza. E questo è più di un lavoro: c’è la responsabilità verso chi ci ha preceduto. Sai quanto gente viene qua e mi dice: ”Mio nonno si è sposato qua, mio papà anche e io mi sposerò qua…..”. Ecco, quando senti queste cose non puoi avere motivi per mollare.

Agli inizi che tipo di ristorazione offrivate? C’era un vostro piatto identitario?

Dai racconti di mia nonna so che noi eravamo specializzati nei “fagottini”, dove la pasta era preparata col formaggio e il pepe macinato. I pastori li andavano a mangiare su per il Gianicolo, qui vicino. Si lavoravano ovviamente prodotti freschi, che allora avevano anche i loro problemi di conservazione…

E oggi qual è il cliente abituale dell’Antica Pesa?

E’ un cliente che cerca sicurezze, che vuole un ambiente casalingo e si fida totalmente del nostro servizio, dei nostri consigli. E’ una persona che vuole passare due ore in serenità, magari per occasioni importanti. Non di rado vengono coppie che si sono sposate qua e che, dopo anni, celebrano l’anniversario in queste sale. L’Antica Pesa non è solo un ristorante ma è anche un luogo della memoria.

Questo ristorante, alla fine, per voi è una vera e propria seconda casa…

Quando sei figlio di ristoratori e vivi il lavoro come una passione il ristorante non può non essere casa tua. Lo vivi a 360°, anche da piccolo. La mattina presto, prima della scuola, andavo con mio padre a fare la spesa ai Mercati Generali. Era il mio Luna Park. Non scorderò mai le cassette di legno, i profumi, i colori di un luogo magico che era animato da personaggi incredibili, come quelli che oggi si vedono, finti, nei parchi-gioco.

Cosa hai imparato in quegli anni?

Ho imparato la contrattazione, che allora, nei mercati degli anni ’70 e ’80, era qualcosa di assolutamente folkloristico. E poi ho imparato a riconoscere la genuinità e la freschezza di un prodotto dal suo odore. Ho imparato anche il romanesco stretto!

Insieme ai tuoi fratelli Simone e Lorenzo, nel 2012, avete aperto un avamposto di successo a New York, precisamente Williamsburg. Quali sono le principali differenze tra Italia e Stati Uniti?

A New York non c’è la cultura di cucina casalinga: le persone spesso vanno a mangiare fuori, con tantissimi ristoranti di qualità e tante cucine diverse, italiano, indiano, giapponese, cinese, spagnolo. Ciò però non fa cogliere il valore culturale di ciò che si ha nel piatto. Perciò la clientela media dell’Antica Pesa di New York ha una competenza a tratti mostruosa, ma generica, sulla cucina internazionale. In Italia è il contrario: magari non conosciamo il curry ma sappiamo tutto di come si cucina la lasagna nelle sue varianti regionali.

Esiste ancora una vera cucina italoamericana?

Esiste eccome. E’ quella che abbiamo esportato, facendone un business. La cucina italiana tradizionale ha unito questi i due paesi per sempre. Andrebbe raccontata in un museo.

Il Made in Italy è ancora una carta vincente?

Il “made in Italy” è un concetto forse troppo totalizzante. Sarebbe meglio trasformarlo in un “made with Italy”. Si vince con l’Italia e non in Italia. Ti faccio un esempio: se a New York porti un pastaio italiano e adoperi un pomodoro del New Jersey che, credimi, è eccezionale, si fa sistema con lo Stato che ti ospita che, a sua volta, ti aiuta a ripartire.

Quanto è importante per te il vino?

E’ un elemento fondamentale perché lo lego, visto il mestiere che faccio, al relax della fine della mia giornata lavorativa. E’ importante anche quando non lavoro, perché amo condividere una bottiglia con amici e familiari. Un buon calice comunque me lo bevo anche solo, non potrei vivere senza.

L’Antica Pesa ha una cantina importante, con dei vini molto ricercati. Il cliente medio che vini ordina?

Adesso vanno molto i vini naturali e la cosa mi piace parecchio, perché penso siano prodotti godibili e dal buon rapporto qualità\prezzo. Sono anche stimolanti per chi fa servizio in sala, perché spesso vanno “spiegati”. E’ facile vendere i vari Supertuscan ma penso che troppo spesso qualcuno ne abbia approfittato, offrendo prodotti non all’altezza o con ricarichi eccessivi. La vera sfida infatti è dare a tutti la possibilità di bere un sogno, anche fosse solo un calice. Ma devono essere sogni realizzabili!

Ultima domanda: oltre che ristoratore sei anche il conduttore televisivo di “Little Big Italy”. Qual è il posto dove si mangia peggio al mondo?

Premesso che ormai la cultura enogastronomica è arrivata a buoni livelli ovunque, se parliamo di cucina italiana penso che il centro America non sia il posto migliore per noi italiani. Troppe salse, mamma mia!!!